Siamo al capitolo XX. Quasi a metà dei Promessi sposi, in genere il punto cruciale della parabola narrativa. Costretta a scappare e a nascondersi nel monastero della Monaca di Monza, Lucia è stata appena rapita e portata nell’inespugnabile fortezza dell’Innominato. È una notte violenta e indefinita, rarefatta ed emblematica. In cui cova qualcosa di inaudito. Come se l’incontro con i fantasmi che quest’uomo spietato combatte da tempo, non fosse più procrastinabile. E si preparasse la resa dei conti. Sente un peso. Una solitudine. Anzi. Una “solitudine tremenda”. Un senso di nausea l’opprime. Di noia e ripugnanza.



Per la vita che ha intrapreso molti anni prima e che adesso gli si prospetta come un tempo “voto d’ogni intento, d’ogni occupazione, d’ogni volere”. In questa condizione di estraneità interiore rispetto a sé stesso, l’Innominato incontra Lucia. Che, sorprendentemente, ha già suscitato la compassione di un suo temibile sgherro, il Nibbio. E ora supplica lui, in nome di Dio, di lasciarla andare. L’Innominato è infastidito: “Dio, Dio, sempre Dio: coloro che non possono difendersi da sé, che non hanno la forza, sempre han questo Dio da mettere in campo, come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con codesta vostra parola? Di farmi…?”.



L’Innominato lascia la frase sospesa. Sì, forse per la prima volta ha paura. E la paura è come la compassione, se uno le lascia prendere possesso di sé, non è piú un uomo, gli ha detto poco prima il Nibbio. Soprattutto non è più un maschio, secondo la mentalità di quei tempi. Ma la paura primaria nasce perché questo “tiranno straordinario” non riesce più a “convincer sé stesso ch’era ancora quello”. Intendendo quello di una volta.

Qualcosa sta mutando dentro di lui. Un mondo, a cui è ancora attaccato senza più sentirsi appagato, si sta sbriciolando, mentre un altro si annuncia con l’attrattiva dell’appagamento ma lo disorienta. Perché teme di dover rinunciare a una parte consistente di sé. È troppo legato a codici predatori, di onore e orgoglio. Per questo vuole sbarazzarsi al più presto di Lucia e non abbandonarsi a quella che lui ancora interpreta come un’imperdonabile debolezza del suo cuore. Persistere nella “più cupa ferocia” gli permette di nascondere la “nuova inquietudine” che lo agita e di mettere a tacere la coscienza. È una di quelle notti drammatiche, dense di incubi e ricordi, in cui ci si ritrova a guardare in faccia se stessi. In cui ci si sente nudi. Tutto, allora, può dipendere da un pensiero o una parola. Sarebbe meglio che arrivasse presto la luce del sole a dissolvere le ombre. Sarebbe meglio fuggire. O morire. “E se c’è quest’altra vita…!”.



E mentre i tormenti tengono sveglio l’Innominato, Lucia s’addormenta “d’un sonno perfetto e continuo”. Perché Lucia non è nessuno. Però quando la serva le chiede: “Chi vuoi che si interessi di te?”, risponde: “Ma il Signore lo sa che ci sono”. È questa certezza che la rende “rinvigorita dallo spavento”. E la fa dormire tranquilla. È una contadinotta ingenua mai uscita dal suo paese, eppure fissa negli occhi l’uomo potente. E gli dice: sono qui, ammazzatemi. Non si oppone, sa che non avrebbe nessuno scampo. Sta lì. Senza difese. Ma anche senza paura. Inginocchiata ma con la forza di quella certezza. È lui che invece, indeciso e combattuto, ha paura. Lucia combatte.

E con il suo “non torna conto a uno che un giorno deve morire di far patir tanto una povera creatura” si incunea nelle segrete ossessioni di quell’uomo “grande, bruno, calvo”, e fa cadere completamente a brandelli il tessuto di un’esistenza che fino a qualche tempo prima appariva ancora seducente e indistruttibile. Lucia virilmente lo penetra, gli regala lo strumento per riappropriarsi della sua vulnerabilità, per capire che esiste un’altra maniera di stare al mondo e far entrare nel suo orizzonte parole a lui sconosciute. Come paura, appunto. Compassione. E misericordia. D’altronde “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”. La diga a quel punto si apre. Impossibile fermare l’inondazione. Finché, con la liberazione di Lucia, incomincia anche quella dell’Innominato.

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