La partenza della USS Ford (in viaggio di rientro verso la sua base di Norfolk, in Virginia, in vista di nuovi schieramenti) lascia il Mediterraneo senza la presenza di una portaerei statunitense, dopo due anni di stanza ininterrotta. Il Mare Nostrum, ad oggi, per quanto riguarda le forze NATO vede le due portaerei italiane, ITS Cavour e ITS Garibaldi ormeggiate a Taranto (entrambi ponti di volo per aerei a decollo verticale o breve) e la francese FS Charles de Gaulle ferma a Tolone per le immancabili riparazioni. Sarebbe a disposizione NATO anche l’LHD spagnolo Juan Carlos, portaelicotteri d’assalto anfibio, ma anche ItaMilRadar non fornisce notizie certe al riguardo. Sempre in ambito NATO, ma inquadrate nell’Operazione Irini (varata nel 2020 per la sicurezza e la pace in Libia, in attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che sanciscono l’embargo delle armi alla Libia), stazionano nel Mediterraneo centrale anche la fregata greca HS Aegean e l’italiana ITS Grecale.



Le forze USA nell’intero quadrante includono l’attuale dispiegamento della USS Eisenhower Carrier Strike Group in Medio Oriente, di ulteriori incrociatori e cacciatorpediniere nel Mediterraneo e nel Mar Rosso e il recente arrivo della nave anfibia di classe Wasp USS Bataan e della nave da sbarco di classe Harpers Ferry USS Carter Hall nel Mediterraneo orientale. La Bataan e la Carter Hall si uniscono alla nave da trasporto anfibio di classe San Antonio USS Mesa Verde.



Con la 26th Marine Expeditionary Unit imbarcata, queste navi si sono riaggregate come Amphibious Ready Group (tre navi e circa 2mila marines imbarcati, che forniscono forze di spedizione in mare in grado di supportare una vasta gamma di missioni). Nel quadrante più orientale si trova anche la squadra NATO SNMG 2 (inquadrata nell’operazione Sea Guardian), composta dalla fregata greca HS Nikiforaos Fokas, dalla fregata spagnola SPS Mendez Nunez e dalla fregata italiana ITS Carlo Bergamini. La maggior parte delle unità russe, invece, compreso il rimorchiatore Sergey Blak e il sottomarino Ufa, staziona nel porto siriano di Tartus, ad eccezione della fregata ammiraglio Grigorovich e della nave spia Kildin.



Complicata anche la situazione nel Mar Rosso, dove gli USA hanno lanciato l’operazione Prosperity Guardian, per disinnescare gli attacchi degli islamisti Houthi dallo Yemen. Alla flotta americana si è già aggregato il caccia inglese Diamond, quello che lo scorso 15 dicembre ha sventato un attacco di droni antinave. Anche la fregata italiana ITS Virginio Fasan è arrivata nell’area, unendosi però al dispiegamento dell’operazione antipirateria dell’UE Atalanta, per operare all’interno di quella specifica missione, alla quale l’Italia partecipa da anni. La sua area operativa comprende anche il Mar Rosso, dove piovono i missili Houthi contro navi in transito. La Fasan, dopo essere entrata nel Rosso nei giorni scorsi, sembra attualmente navigare nel Golfo di Aden, a sud dello Yemen, a scorta di alcune navi mercantili verso est.

Nel frattempo, l’Iran – il grande burattinaio di tutti i gruppi terroristi proxy nell’intero Vicino-Medio oriente – ha posizionato nel Rosso il suo cacciatorpediniere Alborz (che in realtà è una via di mezzo tra una fregata e un incrociatore, dotato comunque anche di missili da crociera a lungo raggio), per mostrare i muscoli e sorvegliare le manovre.

Tutto il dispositivo occidentale messo in essere non sembra fermare gli attacchi dei ribelli yemeniti. L’ultimo (il numero 24) è del 2 gennaio, con due missili balistici antinave partiti dallo Yemen contro cargo in transito, peraltro senza arrecare danni. Una situazione esplosiva ed insostenibile, con il greggio che sta già rivedendo i listini al rialzo, viste le difficoltà nel trasporto causate dagli Houthi. Tanto che la coalizione anti-ribelli (che vede Stati Uniti, Australia, Bahrein, Belgio, Canada, Danimarca, Germania, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Nuova Zelanda e Regno Unito) ha lanciato un ultimatum: stop agli attacchi e rilascio delle navi e dei marinai sequestrati. Se disatteso, sono praticamente certe azioni dirette contro le basi Houthi e relativi obiettivi militari. Ma visto che qualsiasi avvertenza non sembra aver presa sui ribelli smaniosi di compiacere il loro sponsor (l’Iran) e di promuoversi a guardiani dell’area, quelle azioni dirette sono più che probabili, pur nel pericolo di un’escalation del conflitto che rischia di infiammare tutto il Medio Oriente.

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