La difficoltà di navigazione nello stretto di Hormuz e nel Mar Rosso, con la sua importanza per i commerci globali di petrolio e non solo, è l’ultima puntata del cambiamento emerso con la guerra in Ucraina. Per un lungo lasso di tempo merci e capitali sono circolati liberamente tra continenti e aree geografiche senza quasi limitazioni; le tensioni geopolitiche o, semplicemente, le rivalità tra superpotenze, in primis tra quella americana e quella cinese, stanno determinando la fine di questo scenario. Il cambiamento avviene per accelerazioni, come la crisi nello stretto di Hormuz e del Mar Rosso, che lacerano progressivamente il vecchio sistema. Il cambiamento avviene gradualmente, perché è un intero “mondo” che viene meno, ma è inesorabile come le sue conseguenze.



La prima conseguenza è la rottura delle catene di fornitura globale. Nel vecchio mondo erano lunghissime e, anche per questo, estremamente efficienti; ciò ha comportato un lungo periodo di deflazione che lascia spazio al suo contrario. La frammentazione delle catene di fornitura e della “globalizzazione” comporta costi strutturalmente più alti. Essere costretti a scegliere la circumnavigazione dell’Africa è un esempio che rende evidente la questione. Gradualmente, dov’è possibile, emergeranno catene di fornitura meno efficienti, più vicine e più costose, ma più sicure.



La seconda conseguenza è che la sicurezza delle forniture diventa una priorità che mette in secondo piano valutazioni economiche. Un sistema politico che vuole sopravvivere nel nuovo mondo deve valutare i costi economici e sociali di trovarsi improvvisamente e magari per un periodo non breve senza alcune materie prime o senza alcune componenti. L’amministratore delegato di Citigroup, Jane Fraser, si è spinta a dire a ottobre che al mitico acronimo “ESG” bisogna aggiungere una nuova “S”, quella di “security”: “c’è una nuova S in ESG che è la security, sia essa quella alimentare, quella energetica, della difesa o finanziaria”. “Questo è certamente un tema per tutti gli amministratori delegati al mondo, come costruire imprese e Paesi più resistenti”. La “sicurezza” entra nei piani dei Paesi e delle aziende e ne cambia le scelte a discapito di altre in teoria meno costose



La terza conseguenza è geopolitica. Alcuni sistemi hanno prosperato nel vecchio mondo e sono stati costruiti per massimizzarne le caratteristiche, per esempio sacrificando gli “inutili” investimenti in difesa o l’autonomia militare e strategica. L’Europa rientra certamente in questa categoria. Il nuovo mondo premia l’autarchia e i sistemi in grado di proteggere le proprie catene di fornitura e di costruirne di nuove, magari meno efficienti, ma più corte o più sicure. Non è chiara la velocità con cui finirà il vecchio mondo, ma gli ultimi episodi fanno pendere per una fine rapida. Ciò che colpisce a riguardo dell’Europa è la mancanza di un cambio di passo rispetto al mondo che finisce.

La rivoluzione green costruita su catene di fornitura lunghissime e precarie è solo un esempio in questo senso. L’altro, forse, è la mancanza di una vera autonomia strategica che si rende necessaria per rispondere alle peculiarità europee.

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