È stata l’agenzia di stampa russa Ria Novosti (fa parte del gruppo editoriale di proprietà statale Rossiya Segodnya), a riferire (citando una fonte militare) che gli Houthi hanno testato con successo un razzo ipersonico nello Yemen. Non sembra un caso che a darne notizia sia stata un’agenzia russa, visto che da circa un anno proprio la Russia aveva dato corso alla produzione dei Tsirkon, del tipo HCM, ossia missili ipersonici, per altro già testati nel conflitto ucraino (esiste anche la versione aviotrasportata, il Kinzhal). Attorno ai missili ipersonici erano subito fiorite leggende, con la propaganda che li ha descritti quale rivoluzione epocale negli armamenti, dotati di velocità inedite (ben superiori a quella del suono, circa 340 metri al secondo, con traiettorie non balistiche): vero è che gli HCM possono colpire obiettivi al di là dell’orizzonte ottico in tempi brevissimi rispetto ai missili esistenti. È altrettanto vero che risultano difficili da rilevare e tracciare, almeno dai sistemi antimissili convenzionali, lasciando così solo pochissimi secondi nel rateo d’intercettazione. Tanto che la difesa missilistica degli Stati Uniti aveva prontamente varato il Prototype infrared payload (PIRPL), un sensore a fotocamere in grado di rilevare missili ipersonici in volo molto più velocemente e precisamente dei sistemi antimissile satellitari impiegati oggi.



In ogni caso, la mistica scaturita attorno agli ipersonici, lancio dopo lancio, è andata rapidamente ridimensionandosi, soprattutto per la loro scarsa precisione (circa 1500 testate di questo tipo lanciate contro l’Ucraina non avrebbero nemmeno raggiunto l’obiettivo). In ogni caso, il test Houthi fa pensare ad una possibile produzione in proprio, magari “su licenza”, da utilizzare con più facilità contro i bersagli nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden, o anche in Israele. Il tutto in una strategia di sorpasso anche sul grande padrino, l’Iran, che ha finanziato ed armato i terroristi yemeniti fin dal loro conflitto contro l’Arabia e le forze emiratine, con la successiva presa di potere a Sana’a.



Oggi però non è chiaro l’ossequio Houthi ai loro comandanti remoti, anche perché proprio l’Iran, solo lo scorso gennaio, avrebbero tenuto in Oman colloqui segreti con gli Stati Uniti (sostiene il Financial Times) per arrivare alla cessazione degli attacchi nel Mar Rosso. Se confermata, la notizia aprirebbe scenari inaspettati: da un anno USA e Teheran avevano interrotto ogni contatto. Ma è difficile distinguere ogni reale finalità dalla propaganda e dalla disinformazione: plausibile che si tratti solo dell’ennesima cortina fumogena tesa a coprire volontà inconfessabili, compreso il proseguimento del programma nucleare iraniano, da sempre candidamente spacciato per finalità civili, ma da sempre risaputo mirare alla distruzione dello Stato ebraico, la vera mission sciita.



Di fatto, il nuovo supermissile degli Houthi non può non infiammare ancora di più il quadrante sud del Mar Rosso e portare l’allarme a bordo delle navi militari in zona al livello più alto. I sistemi radar del cacciatorpediniere Caio Duilio (scoperta e tracciamento a lunga distanza dal radar S1850M con un secondo sensore EMPAR, radar a singola faccia rotante in grado di controllare oltre 300 tracce e guidare il volo dei missili su dodici bersagli contemporaneamente) non sarebbero formati sulle velocità e le quote degli ipersonici, soprattutto in mancanza di adeguata copertura satellitare. Se al missile-test dovesse seguire una regolare fornitura (russo-iraniana) o un’autoproduzione, insomma, bisognerebbe ridispiegare piattaforme difensive diverse, al momento tutte ancora di là da venire.

Nel frattempo, mentre l’US Navy conferma la distruzione di altri quattro droni e di un missile terra-aria lanciati dagli Houthi, anche la fregata militare greca Hydra (inquadrata nella missione Aspides), aggregatasi lunedì scorso al resto della flotta europea, ha avuto la sua prima prova del fuoco, costretta ad esplodere colpi contro due droni lanciati nel Golfo di Aden. Anche la Grecia sul fronte, dunque, e con un grosso rischio scampato di poco: solo due giorni fa proprio la Hydra aveva accolto in visita il ministro greco della Difesa, Nikos Dendias, e una settimana fa sempre la Grecia aveva subìto le prime vittime del conflitto sul Mar Rosso, tre marinai imbarcati su un cargo che era stato centrato dai missili yemeniti.

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