Non poteva esimersi questa rubrica, anche per la provenienza dell’autore, dall’occuparsi dell’evento dell’anno capace di scacciare dalle prime pagine dei giornali e dai titoli di apertura dei tg l’aggiornamento quotidiano sul Covid e le sue conseguenze. Parliamo ovviamente della morte terrena di Diego Armando Maradona, pianto con disperazione in tutto il mondo e in particolar modo nella città che gli ha dato i natali in Argentina e in quella in cui ha vissuto i suoi anni migliori in Italia.
Con quest’ultima il Pibe de Oro aveva stretto un patto inscindibile che non si è allentato mai: nemmeno di fronte alle incomprensioni, nemmeno quando decise di andar via, nemmeno quando crebbe la distanza fisica e non ci si vedeva quasi più. La verità vera, come non direbbero i puristi, è che Maradona e Napoli hanno condiviso lo stesso identico carattere fino a poter dire – oggi e per sempre – che Maradona è Napoli come Napoli è Maradona.
L’identificazione tra le due entità è totale: esagerate entrambe in ogni singola manifestazione, capaci delle prodezze più entusiasmanti e delle più vergognose nefandezze, grandiose nel bene e nel male, generose, indisciplinate, misere e nobili, uniche. Il campione si specchia nella città e la città si specchia nel campione in un gioco di rimandi nel quale l’uno e l’altra si riconoscono vicendevolmente e si spalleggiano con complicità compiacendosi degli sguardi degli altri.
Quanto e forse più di Buenos Aires, Napoli possiede l’anima di Maradona. E Maradona possiede l’anima di Napoli tanto da far sospettare che si tratti di una cosa sola. Chi rifiuta questa evidenza non può capire come mai l’una ha sempre accettato tutto dell’altro – e viceversa – senza mai giudicare e recriminare. La città ha visto Maradona e si è riconosciuta nei suoi pregi e nei difetti accettando di condividere una vita di alti e bassi.
Anche la propensione a farsi del male accomuna le due esperienze. Bellissima per natura e ricca di ogni bene, Napoli sprofonda nel degrado urbano e sociale per la sua inconsistenza organizzativa. Potrebbe vivere alla grande e invece stenta a campare con un tasso da terzo mondo nell’occupazione di donne e giovani. Intere porzioni di territorio sono praticamente sottratte alla sovranità dello Stato e si autogovernano nell’accettazione generale.
Allo stesso modo il talento inarrivabile dell’indiscusso numero uno del pallone, favorito da un fisico speciale per resistenza ed elasticità, è stato messo a dura prova da vizi e stravizi che mal si conciliano con i gesti atletici e la grinta competitiva che si esprimevano in campo davanti a un pubblico in delirio permanente. Anche le equivoche compagnie frequentate avrebbero potuto offuscare un’immagine che invece tornava limpida a ogni finta, a ogni goal.
Sapeva farsi perdonare Maradona con il suo sguardo innocente e anche Napoli continua a farsi perdonare della sua fragilità amministrativa e colpevole incontinenza (sono sempre i migliori quelli che se ne vanno) ogni volta che ne calpesti il suolo rimirando il Golfo luccicante, il Vesuvio immanente, il cielo splendente. E impallidisce il ricordo dei difetti – tanti, troppi – quando l’abbandoni per l’ennesimo tradimento che ti ha riservato per il solo gusto di stupire.