Marcello D’Orta è l’autore di “Io speriamo che me la cavo“, il libro cult della letteratura napoletana di fine Novecento conosciuto dal grande pubblico anche per essere stato un film di successo. La storia del romanzo, infatti, nel 1992 è diventato un film diretto dalla bravissima Lina Wertmuller con protagonista Paolo Villaggio. Il film, proprio come il libro, racconta la storia vera dello scrittore ed autore napoletano nato nel 1953 a Napoli. Cresciuto nel centro storico di Napoli in Vico Limoncello (nei pressi dell’anfiteatro di Nerone), Marcello D’Orta ha insegnato per diversi anni in alcune scuole dell’hinterland napoletano da cui ha preso spunto per scrivere il suo libro. A segnarlo particolarmente è stata l’esperienza presso la scuola elementare “Tiberio” di Arzano, un piccolo comune in provincia di Napoli, che ha spinto Marcello D’Orta a scrivere il suo libro “Io speriamo che me la cavo”.

“Io speriamo che me la cavo” è stato pubblicato nel 1990: un libro – raccolta di circa sessanta temi scritti dai suoi allievi che sono diventati un vero e proprio cult non solo a Napoli, ma anche nel resto dell’Italia. Un libro che ha emozionato e divertito milioni di lettori e che si rilegge ancora oggi. colorati e vitalissimi temi scritti dai suoi alunni durante l’esperienza arzanese

Marcello D’Orta, autore di “Io speriamo che me la cavo”: “Per gli esponenti della letteratura di Napoli io non esisto”

“Io speriamo che me la cavo” è stato senza alcun dubbio il libro più venduto e famoso di Marcello D’Orta scomparso a soli 60 anni a causa di un cancro. Proprio l’autore, intervistato dal Corriere della Sera, parlando della sua malattia disse: “quando, alcuni mesi fa, mi fu diagnosticato un tumore, il primo pensiero fu: la monnezza. È colpa, è quasi certamente colpa della monnezza se ho il cancro. Donde viene questo male a me che non fumo, non bevo, non ho – come suol dirsi – vizi, consumo pasti da certosino? Mi ricordai, in quei drammatici momenti che seguirono la lettura del referto medico, di recenti dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui era da mettersi in relazione l’aumento vertiginoso delle patologie di cancro con l’emergenza rifiuti. Così sono stato servito. A chi devo dire grazie? Certamente alla camorra”.

Non solo, Marcello ce l’aveva anche con i colleghi scrittori e autori della sua città. “Napoli distante dalla civiltà, lontana dalla modernità” – diceva lo scrittore che confessò poco prima di morire – “a Napoli fanno finta di non conoscermi. Se c’è un convegno sugli scrittori napoletani, non mi invitano certo. Per gli esponenti della letteratura di Napoli io non esisto”.