Tra i più grandi registi italiani e non in circolazione, Marco Bellocchio si è raccontato senza filtri in una lunga intervista rilasciata ai microfoni di Vanity Fair. Reduce dallo straordinario (e meritato) successo de Il traditore, film sul boss dei due mondi Tommaso Buscetta, il cineasta di Bobbio è tornato sulla tragica morte del fratello gemello Camillo, suicidatosi il 26 dicembre 1968: «Lui si impiccò. L’Urlo – film girato quest’anno – del titolo è quello di mia madre, quando lo scoprì». Bellocchio parla di un dolore mai metabolizzato fino in fondo: «Era il non intellettuale di noi fratelli, si era diplomato all’Isef ed era diventato professore di Educazione fisica. Eppure, c’era evidentemente una ferita profonda che l’ha schiacciato. Il Sessantotto fu per tanti un anno di speranza di vita. Per noi è stato un annus horribilis».
MARCO BELLOCCHIO: “PIENO DI SENSI DI COLPA PER IL SUICIDIO DI MIO FRATELLO”
Una ferita mai rimarginata, con Marco Bellocchio che ha ammesso di portare ancora oggi i segni di quel drammatico gesto: «Io non avevo responsabilità diretta, vivevo a Roma, non ci vedevamo da anni. Ma di fatto non ho capito niente di una tragedia che stava per avvenire. Allora ti dici: è la mia miseria sentimentale, umana. E sei pieno di sensi di colpa». Un dolore insito in una famiglia decisamente poco avvezza ai sentimenti, come confessa il regista: «Per un lungo periodo nella mia famiglia c’era il sentimento di sopravvivere, come se al suo interno ci fosse poco spazio per l’amore, per l’affetto. Di questa aridità e rabbia I pugni in tasca è una rappresentazione». E Bellocchio ammette di nutrire sensi di colpa anche per ciò che riguarda i figli, affermando di essersi comportato meglio con la secondogenita, «che ha 24 anni, cui ho dato un’attenzione e una presenza maggiore, che con Pier Giorgio: con lui ho fatto errori di trascuratezza».