Nella puntata di oggi di ‘Un giorno in pretura‘ si tornerà a parlare dei cosiddetti Delitti di Barbagia che vedono come – ovviamente involontari – protagonisti Stefano Masala e Gianluca Monni partendo dal processo a carico di Cheddu e Pinna: tra i teste ci sarà anche Marco Masala, padre della prima delle due vittime ucciso (secondo le ricostruzioni fatte nel corso degli anni) al solo scopo di rubargli l’auto e creare una sorte di diversivo affinché gli inquirenti indagassero su di lui; il tutto – pur a fronte delle condanne in tutti e tre i gradi di giudizio – senza che Marco Masala e la sua famiglia abbiano mai potuto riavere indietro il corpo del 28enne.



Senza soffermarci troppo a lungo sugli omicidi – dei quali comunque trovate i dovuti approfondimenti tra queste stesse pagine – è interessante soffermarci sull’addolorata figura di Marco Masala che ad oggi non è ancora disposto ad accettare quella ‘morte presunta’ riconosciuta al figlio dal tribunale di Cagliari per interrompere la sua (ormai eterna) ricerca del corpo del 28enne che nel corso di questi ultimi nove anni dalla sparizione non ha mai mancato di citare nei suoi – comunque rari – interventi a mezzo stampa.



Chi è Marco Masala, padre di Stefano: “Se non posso avere il corpo di mio figlio, almeno che mi dicano se ha sofferto”

Già nel 2018 – chiusi i processi a carico di Cheddu e Pinna – Marca Masala alla Nuova Sardegna aveva promesso che la vicenda non sarebbe finita con il processo: “Voglio riportare mio figlio a casa – aveva detto – e finché non ci riuscirò non mi darò pace” dando seguito a quella “promessa che ho fatto a mia moglie Carmela in punto di morte” quando lei poco prima di “morire tra le mie braccia mi ha detto ‘portatemi a casa Stefano'”.



Lo scorso anno, sempre alla Nuova Sardegna Marco Masala, padre di Stefano, aveva raccontato che la moglie era stata “annientata dal dolore” per la perdita del figlio, ammalandosi gravemente e non riuscendo neppure ad assistere alla meritata giustizia arrivata – purtroppo – qualche anno più tardi; accennando anche al fatto che “prima o poi [Cheddu e Pinna] avranno i benefici di legge e torneranno in libertà”, mentre lui e la sua famiglia sono stati condannati ad un “vero ‘fine pena mai’” in una sorta di prigionia ideologica che negli ultimi otto anni l’ha portato “a uscire di casa solo per cercare Stefano”.

Dai toni battaglieri – però – intervistato quest’anno dal TgR sardo, lo stesso Marco Masala ha sommessamente ammesso di non poter “rispettare la promessa” fatta alla moglie, limitandosi a chiedere alle “istituzioni carcerarie che non abbiano nemmeno un giorno di sconto di pena perché la loro efferatezza è stata terribile” e dicendosi pronto nel caso in cui “mi resterà un alito in questa vita terrena quando usciranno” a chiedere ai killer “quanto ha sofferto mio figlio, se è morto subito o se l’hanno lasciato ad agonizzare”.