Dopo 21 anni di attesa Franco, Marco e Anna Maria Mottola parlano dell’omicidio di Serena Mollicone. Per la prima volta all’esame dei giudici che li processano per la morte della ragazza, assassinata ad Arce il primo giugno 2001. A parlare per primo in Corte d’Assise a Cassino è Marco, il figlio del maresciallo della stazione dei carabinieri di Arce, ma chiede di sospendere la deposizione. Suo padre si accoda rinunciando al proprio esame, quello della mamma resta in dubbio. La famiglia aveva chiesto di essere interrogati prima dalle difese, invertendo l’ordine abituale che dà la precedenza al pm, e che le dichiarazioni rese prima del 2011, quando furono iscritti nel registro degli indagati, non gli possano essere contestate. Per i loro legali erano “indagabili” nel 2011, quindi dovevano essere ascoltati in presenza di un avvocato. Il presidente della Corte d’Assise di Cassino si è riservato di decidere su questo punto nella precedente udienza, quindi ha esordito in aula respingendola.
Marco Mottola, ora 39enne, racconta di aver conosciuto Serena Mollicone alle medie, di aver condiviso a lungo la comitiva e qualche spinello. Ha ripercorso le frequentazioni a casa dei Mollicone, ma solo come studente di francese alle lezioni private di papà Guglielmo. «Non l’ho uccisa io, né nessuno dei miei familiari. Con lei non ho mai litigato né le ho mai messo le mani addosso. Non ho mai avuto rapporti sentimentali con Serena Mollicone e non l’ho uccisa».
LE CONTRADDIZIONI SULLA PORTA DELLA CASERMA DI ARCE
Marco Mottola racconta di aver appreso dai giornali che il padre di Serena Mollicone accusava la sua famiglia dell’omicidio, ma a lui non avrebbe detto nulla di persona. «Ero sorpreso ed esterrefatto, abbiamo pensato anche di querelarlo ma abbiamo scelto di non infierire per il dolore che provava». Quindi, prova ad allontanare da sé i sospetti, fornendo la sua versione. «Serena Mollicone non è mai venuta in caserma a trovarmi». La sua serenità crolla di fronte alle contestazioni del pm Beatrice Siravo, che evidenzia contraddizioni e incongruenze dei vecchi verbali. Secondo Marco Mottola, il “cratere” nella porta sequestrata, che secondo la perizia di Cristina Cattaneo è «pienamente compatibile» con l’urto ipotizzato dall’accusa, è dovuto invece ad un pugno di rabbia del padre in uno dei tanti episodi in cui lui gli aveva dato dei problemi.
Ma nel 2008 fu il padre ad attribuire il pugno al figlio, che in aula va in confusione. I suoi legali insorgono, chiedono la sospensione dell’esame. Così anche l’ex comandante rinuncia a sottoporsi al suo esame, mentre per quanto riguarda la madre di Marco Mottola, la corte ha accolto la richiesta delle difese circa l’inutilizzabilità dei verbali. Dovrebbe essere ascoltata domani, ma il condizionale è d’obbligo. Ma secondo il Corriere della Sera, la difesa è uscita indebolita da questa udienza. Non a caso a fine udienza il criminologo Carmelo Lavorino, che aveva caldeggiato l’esame degli imputati, annuncia le sue dimissioni da portavoce del pool difensivo «per coerenza».