Maresciallo Marco Pegoraro: il carabiniere che sparò e uccise Mauro Guerra

Il 23 febbraio scorso, la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza di primo grado sulla morte di Mauro Guerra che vedeva imputato il maresciallo Marco Pegoraro. Nel luglio 2015, Marco Pegoraro era diventato da poco tempo comandante dei carabinieri a Carmignano di Sant’Urbano, in provincia di Padova. A presentarsi presso la stazione in cui prestava servizio fu Mauro Guerra, 32enne che da qualche tempo aveva manifestato qualche problema di natura psichica. Al militare Guerra annuncia l’intenzione di organizzare una manifestazione pubblica lasciandogli dei disegni che Marco Pegoraro avrebbe considerato di “ispirazione mistica”.



Le parole e i disegni del 32enne portarono il maresciallo a ritenere l’uomo pericoloso e per questo decise di sottoporlo a TSO. Quando però si presentò in casa di Guerra, accompagnato da alcuni colleghi, il 32enne si rifiutò di sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio, dandosi alla fuga e venendo poi coinvolto in una colluttazione con alcuni carabinieri. A quel punto si udì uno sparo: un colpo di pistola raggiunse Mauro Guerra all’addome. L’elisoccorso arrivò 40 minuti dopo ma nonostante i tentativi di rianimazione il 32enne morì a distanza di un’ora e mezza.



Maresciallo Marco Pegoraro condannato in Appello

Il maresciallo Marco Pegoraro finì a processo per omicidio colposo dopo la morte di Mauro Guerra ma il primo grado di concluse con la sua assoluzione; la procura non fece ricorso in appello. In contemporanea al processo in sede penale si è svolto anche quello in sede civile. Lo scorso 23 febbraio la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza di primo grado per la morte di Mauro Guerra. I giudici infatti, come riporta Il Gazzettino questa volta hanno riconosciuto il maresciallo Marco Pegoraro responsabile di omicidio colposo per eccesso colposo di legittima difesa e lo hanno condannato a risarcire i danni provocati ai famigliari della vittima, costituiti parte civile.



Le motivazioni della Corte d’Appello sono state racchiuse in 23 pagine depositate lo scorso maggio. I giudici lagunari avrebbero in particolare contestato le testimonianze rese da due carabinieri e dal medico del Suem 118 sia in fase di indagine e sia durante il processo in merito alle quali hanno scritto: “Non si tratta di percezioni derivanti dalla diretta osservazione dei fatti, ma di esternazioni di paure, di supposizioni e di fantasiose affermazioni”. A pagina 18 delle motivazioni, inoltre, i giudici hanno indicato come avrebbero dovuto agire i carabinieri, lasciando intendere che la morte di Mauro Guerra poteva essere evitata: “Pegoraro aveva altri modi per intervenire”, scrivono, “Una volta giunto a ridosso di Guerra, distante ormai solo 4 metri, anziché fermarsi, chinarsi e prendere la mira, avrebbe senz’altro potuto fare due passi, aggredire alle spalle il Guerra o colpirlo con il calcio della pistola o immobilizzarlo con l’aiuto dei sopraggiungenti Vettorato e Saffiotti”. Una tesi fortemente ribadita dai legali della famiglia Guerra.