Marco Prato si è suicidato la sera prima della convocazione in aula per rispondere dell’omicidio di Luca Varani: il “pierre dei vip”, coinvolto in un largo giro di droga e perdizione, fu protagonista insieme a Manuel Foffo della mattanza sul giovane Varani, si suicidò la notte del 20 giugno 2017. Aveva già tentato di farlo la notte dopo la tremenda tragedia del 21 febbraio 2017 ma in quel caso venne salvato dai Carabinieri che andarono ad arrestarlo: ebbene, per Marco Prato però non ci fu alcuna istigazione al suicidio, così è stato appurato dalla Procura di Velletri dopo un’intesa fase di indagine scattata dall’ipotesi che la sua morte in carcere la sera prima del processo Varani potesse esser stata “spinta” dai secondini, dagli agenti del carcere o ancor di più dalla pressione mediatica di quei mesi dove il delitto Varani era di fatto su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali. Manuel Foffo è stato condannato a 30 anni con la conferma ultima della Cassazione lo scorso 3 luglio 2019 per l’omicidio volontario aggravato di crudeltà contro Luca Varani mentre probabilmente Marco Prato avrebbe ricevuto una condanna minore per non aver utilizzato lui il coltello e il martello che hanno posto fine all’esistenza del giovane invitato al festino a basi di droghe e alcol.



SUICIDIO MARCO PRATO: “SCELSE LUI DI MORIRE”

Gli inquirenti di Velletri volevano ricostruire cosa fosse successo in quelle ore immediatamente prima del processo: volevano sapere se Prato, detenuto ad alto rischio nel carcere locale considerato il tentato suicidio di qualche settimana prima «fosse seguito e assistito adeguatamente, anche da uno psichiatra». «Il monitoraggio e la protezione sono mancati», denunciava la famiglia di Marco Prato, ma ora il Tribunale di Velletri ha dato ragione alla procura «non ci fu nessuna colpa nessun reato da addebitare a nessuno». Non sono dunque imputabili reati alla direzione del carcere ma neanche ai secondini addetti alla sorveglianza: Prato in quel drammatico giugno 2017 si era infilato la testa in un sacchetto collegato a una bomboletta di gas usate per la cucina da campeggio e fece così perché «lo voleva fare», conclude il Tribunale. La memoria difensiva di Marco Prato voleva puntare tutto sul fatto che nel delitto di Luca Varani lui non aveva usato armi e non avrebbe mai voluto la morte del ragazzo: «Non ho partecipato quella notte. Non ho usato le armi», venne ritrovato nel messaggio cestinato del bagno del carcere, come riporta il Messaggero. A completa conferma della tesi della procura vi sarebbe poi anche la lettera invece lasciata per la propria famiglia dove l’ex pierre dei vip della “Roma bene” scriveva «il suicidio non è una scappatoia o gesto egoistico, è solo una malattia. […] La pressione dei media è insopportabile, le menzogne su quella notte e sul mio conto sono insopportabili. Questa vita mi è insopportabile. Perdonatemi».

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