L’incontro tra due ragazzi e una pattuglia di anziani nel nuovo film di Marco Risi, “Il punto di rugiada”. “Mio padre (il grande Dino Risi, ndr) ripeteva sempre ‘che cosa c’è di bello se le ragazze non ti guardano più? Che cosa c’è di bello se gli amici man mano ti lasciano? Che cosa c’è di bello quando il telefono non suona più…?’ Poi il telefono suonava, e la smetteva”, il ricordo del regista nell’intervista rilasciata alla Stampa.



Marco Risi ha parlato di un film nostalgico e ha ammesso che la prospettiva della vecchiaia non lo riempie di gioia, considerando di non vedere nulla di positivo: “Si avverte molto di più la fatica, le cose  cambiano, io, per esempio, faccio lunghissime passeggiate, anche chilometriche a piedi, ma insomma, non vedo tanti pregi”.



L’intervista a Marco Risi

Nel corso dell’intervista con il quotidiano torinese, Marco Risi si è soffermato sui temi del suo nuovo film e tra questi c’è l’eutanasia. Il cineasta ha ricordato che il padre Dino parlava di suicidio assistito già tanti anni fa e non era una cosa bella: “E’ sempre stato molto lucido, fino alla fine, e ha sempre continuato a parlarne. Sono assolutamente favorevole alla liberalizzazione del diritto di scegliere di porre fine alla propria esistenza. Se si è ridotti allo stato vegetale, essere tenuti in vita mi sembra una tortura, in tanti pensano che farlo sia una buona azione, oppure che vada fatto perché, magari in futuro, si troverà una cura”. Nel suo lungometraggio ci sono anche dei riferimenti alla pandemia e alle tante morti fra gli ospiti delle Rsa, Risi ha colto l’occasione per tornare su quella fase: “Forse non è bello dirlo, ma per me non è stato un periodo terribile. Mi piaceva stare a casa da solo. Ho letto due volte ‘La montagna incantata’, vedevo serie infinite in tre giorni, andavo a fare la spesa al mercato, non c’erano posti dove dover andare, si potevano fare cose per se stessi”.

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