Marco Vannini è stato ucciso a 20 anni, nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015, a casa dell’allora fidanzata Martina Ciontoli. Una serata come tante, quella del giovane figlio unico di Marina e Valerio Vannini, tradotta in una delle pagine più sconvolgenti e controverse della cronaca nera nazionale. L’omicidio di Marco Vannini si è consumato tra le mura di una villetta di Ladispoli: un’agonia lunga 110 minuti prima della morte in ospedale all’esito, diranno le indagini, della richiesta tardiva di soccorso da parte dei Ciontoli. Senza mai menzionare ai sanitari il ferimento da arma da fuoco che, se rivelato tempestivamente, avrebbe sicuramente innescato un intervento in codice rosso e un epilogo forse diverso: Marco Vannini si poteva salvare.
“Marco si è ferito con un pettine a punta”. Questo uno dei passaggi della telefonata con cui Antonio Ciontoli, suocero della vittima, raccontò la sua storia inverosimile al 118, sostenendo che il ragazzo fosse preda di un attacco di panico dopo un banale incidente domestico mentre faceva il bagno nella vasca della loro abitazione di Ladispoli. 110 minuti di urla, paura e dolore per Marco Vannini, altrettanti di silenzi e omissioni da parte dei Ciontoli prima dell’abisso di un caso giudiziario che avrebbe scosso l’intera nazione con un carico di rabbia e interrogativi su cui uno, ancora, irrisolto: perché? I Ciontoli sono finiti a processo per la morte di Marco Vannini, raggiunto da un colpo di pistola esploso da una delle armi detenute dal suocero Antonio Ciontoli (all’epoca sottufficiale di Marina distaccato ai Servizi segreti).
Chi era Marco Vannini: il sogno della divisa e l’amore per Martina Ciontoli
Marco Vannini era nato l’8 aprile 1995 e viveva a Cerveteri insieme ai genitori, figlio unico di Marina Conte e Valerio Vannini. Dopo la sua morte sono stati loro, armati di coraggio e determinazione, a cercare senza sosta verità e giustizia per il loro ragazzo, un giovane senza grilli per la testa che, all’epoca, sognava un futuro in divisa nell’Arma dei Carabinieri e, nel frattempo, era impegnato come bagnino in una struttura della zona.
Nel 2012 la scintilla d’amore con Martina Ciontoli, figlia di Antonio Ciontoli e Maria Pezzillo. Come i genitori, la fidanzata di Marco Vannini era presente in casa al momento del ferimento che lo avrebbe portato alla morte nel giro di poche ore. Nell’abitazione anche il fratello della ragazza, Federico Ciontoli, e la fidanzata di quest’ultimo, Viola Giorgini. L’unica che sarebbe stata poi assolta dal reato di omissione di soccorso con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
L’ultima notte di Marco Vannini: l’omicidio a casa Ciontoli
“Un infortunio in vasca, praticamente è caduto e si è bucato un pochino con il pettine, quello a punta, sul braccio, si è bucato e si è messo panico”. Antonio Ciontoli parlò così, quasi un’ora dopo lo sparo, durante la seconda chiamata al 118 dalla sua abitazione di via Alcide De Gasperi a Ladispoli, sostenendo che Marco Vannini avesse un “buchino” sul braccio e fosse andato nel panico per lo spavento. L’operatrice, sentendo lamenti e urla continui dall’altra parte del telefono, chiese a Ciontoli se il giovane fosse diversamente abile: “Sento una voce un po’ strana”, “No, è nel panico”, concluse Ciontoli. In realtà, si sarebbe scoperto in ospedale quando ormai per Marco Vannini non c’era più nulla da fare, quel “buchino” da pettine di cui parlava Ciontoli era la ferita di un colpo di pistola esploso all’interno della sua abitazione. Erano passati 6 minuti dalla mezzanotte, quasi un’ora dallo sparo.
La prima telefonata ai sanitari era partita dal figlio Federico Ciontoli alle 23.41: “C’è un ragazzo che si è sentito male, è diventato bianco e non respira più. Si è spaventato”. Una richiesta di soccorso poi annullata dalla moglie di Antonio Ciontoli, Maria Pezzillo: “Il ragazzo si è ripreso, l’ambulanza non serve“. È questa la ricostruzione riportata dai giudici durante il processo a carico dei Ciontoli per l’omicidio: “Federico Ciontoli, non fornendo dettagli sull’accaduto, passava il telefono alla madre la quale, dopo aver riferito che il Vannini stava facendo il bagno nella vasca, annullava la richiesta di intervento asserendo che, come comunicatole frattanto dai coindagati, il ragazzo si era ripreso è non necessitava più di soccorso”.
La morte di Marco Vannini
L’ambulanza giunse sul posto, in codice giallo, 23 minuti dopo la mezzanotte. Oltre un’ora dopo il ferimento da arma da fuoco (avvenuto, secondo la ricostruzione, alle 23.15 e omesso fino all’ultimo dal Ciontoli). Nessun medico a bordo: “Tutti – scrivono i giudici – riferivano all’ infermiera dapprima che il giovane aveva avuto un malore a seguito di una discussione, poi che dopo detta discussione si era ferito accidentalmente in bagno con la punta di un pettine; cosi inducendo il personale paramedico a trattenersi per 15 minuti circa presso l’abitazione al fine di raccogliere informazioni in ordine alle cause della lesione riportata, atteso che il giovane si presentava confuso ed agitato e non era in grado di interloquire”.
L’arrivo di Marco Vannini al Posto di primo intervento PIT di Ladispoli avvenne alle ore 00.45. Era in coma e soltanto allora, stretto dalla morsa degli eventi, Antonio Ciontoli riferì al medico di turno che era stato colpito con una pistola. Un racconto concluso con l’esplicita richiesta di tenere la questione sottotraccia per evitare di perdere il suo lavoro di alto grado. Un tentativo (fallito) di far falsificare il referto e non far indicare la natura esatta della lesione. A quel punto, l’intervento dell’elisoccorso per trasferire il 20enne al Gemelli di Roma. Un tentativo purtroppo vano: Marco Vannini morì a bordo, il decesso, riportano le carte, avvenne alle 3.10 del 18 maggio 2015.
Il racconto di Antonio Ciontoli per nascondere la verità su Marco Vannini
A processo per l’omicidio, alla domanda sul perché avesse introdotto nel suo racconto elementi assurdi come “il pettine a punta” invece di dire il vero e accelerare i soccorsi per Marco Vannini, Antonio Ciontoli rispose quanto segue: “Non so perché gliel’ho detto, la prima cosa che mi è venuta in mente. È talmente assurda che non so perché l’ho detta…”. Sconcerto dei genitori di Marco Vannini, Marina Conte e Valerio Vannini, espresso anche ai microfoni de Le Iene: “Se sai che una persona è stata ferita da un colpo di pistola chiami subito, non gli dici che è una puntina di un pettine”.
Alla sbarra, Antonio Ciontoli ammise di aver chiesto al medico del PIT di non rivelare del colpo di arma da fuoco: “Non volevo che questa cosa uscisse, non volevo raccontarla a tante persone. Volevo dirlo direttamente io al dottore per evitare di far succedere chissà che cosa”. Preoccupato della possibilità di perdere il suo lavoro, sarebbe emerso in seguito. Secondo Ciontoli, la sua preoccupazione era anche rivolta all’imminente concorso che Marco Vannini avrebbe dovuto sostenere per l’accesso all’Arma: “Una lesione del genere avrebbe potuto compromettere le sue visite mediche, quindi ero preoccupato anche per questo”. Poi un passaggio ancora più nitido: “Io non volevo che l’ambulanza venisse, lo volevo portare io al PIT personalmente, con la mia macchina”.
L’ambulanza invece, secondo quanto riferito da Antonio Ciontoli, sarebbe stata chiamata perché suo figlio Federico aveva scoperto un bossolo sul pavimento: “Avendo frequentato la Nunziatella, un ambiente militare, gli avranno detto com’è formato un proiettile, quindi avendo lui trovato il bossolo ho immaginato che avesse capito…”. Inizialmente, infatti, secondo quanto raccontato da Antonio Ciontoli i suoi familiari erano convinti che quel rumore sentito in casa fosse un colpo a salve, un “colpo d’aria” secondo Ciontoli frutto di uno “scherzo” a Marco Vannini mentre lo stesso gli mostrava le armi, due pistole, posizionate temporaneamente in un mobile nel bagno. A detta dell’uomo, sarebbe entrato proprio lì, mentre il 20enne si lavava nella vasca, per prelevarle e metterle in sicurezza, ma su richiesta di Vannini gliele avrebbe mostrate finendo per colpirlo. Una versione che sarebbe stata poi smontata dall’accusa a processo.
Omicidio Marco Vannini: il processo e le condanne
Nella prima versione fornita da Antonio Ciontoli, quel presunto “colpo d’aria” sarebbe stato uno sparo accidentale partito per sbaglio nel trattenere la pistola che stava scivolandogli dalle mani. Le intercettazioni ambientali della famiglia in caserma, però, avrebbero restituito tutt’altra istantanea dei fatti attraverso il racconto della figlia: “Io ho visto quando papà gli ha puntato la pistola. Gli ha detto: ‘Vedi di puntarla di là’, e papà gli ha detto ‘Ti sparo’. Papà ha detto ‘È uno scherzo’ e lui ha detto ‘Non si scherza così’”.
Questo lo stralcio di una conversazione registrata tra Martina Ciontoli e il fratello Federico. Anzitutto Antonio Ciontoli disse agli inquirenti di non aver armato il cane della pistola. Ma la balistica forense lo avrebbe smentito: per sparare in questa modalità, l’arma doveva essere “in doppia azione” e la perizia sulla sua pistola avrebbe fatto emergere un difetto tale per cui non funzionava in quel modo e per armare il cane sarebbe stato necessario scarrellare. Quando l’accusa gli fece notare questo particolare, la sua versione cambiò: “Ho preso l’arma convinto che fosse scarica solo che praticamente… vabbè l’arma non mi stava scappando. L’ho presa, l’ho impugnata. L’ho scarrellata per scherzo. Ho fatto finta di sparare e invece… c’erano i proiettili all’interno della pistola. E mi è partito il colpo”.
Il primo grado di giudizio a carico del Ciontoli si concluse con una condanna a 14 anni di carcere per omicidio volontario. 3 anni per omicidio colposo alla moglie Maria Pezzillo e ai figli, Federico e Martina Ciontoli. In appello, pena ridotta per Antonio Ciontoli da 14 a 5 anni con reato derubricato da omicidio volontario a colposo, confermate le condanne agli altri familiari imputati. La Cassazione però dispose l’appello bis chiedendo di riconoscere l’accusa più grave di omicidio volontario per i Ciontoli. Questa la pena comminata all’esito del nuovo giudizio: 14 anni per Antonio Ciontoli, riconosciuto l’omicidio volontario con dolo eventuale, e 9 anni e 4 mesi per moglie e figli, riconosciuto il concorso anomalo in omicidio volontario. Nel 2021 la condanna definitiva: confermata l’entità delle pene dalla Suprema Corte. Dopo un’odissea lunga 6 anni, Marina e Valerio Vannini hanno espresso la loro soddisfazione per la sentenza: “Giustizia è fatta”.