Marco Zennaro, ingegnere e imprenditore veneziano, è rientrato in Italia ieri mattina dopo essere rimasto prigioniero per un anno in Sudan per via di una disputa commerciale relativa a una fornitura di trasformatori elettrici al Paese africano. Il periodo trascorso in cella è stato indubbiamente il più duro, come testimoniato dall’uomo ai microfoni del “Corriere della Sera”: “Quando stavo proprio male, imprigionato a 55 gradi e non si vedeva la fine di quest’incubo, la manifestazione sull’acqua con le remiere, il Venezia Rugby, i ragazzi mi hanno fatto rinascere”.
Insomma, il suo Paese e la sua Serenissima gli hanno consentito di trovare le motivazioni per andare avanti, oltre ovviamente al pensiero per la sua famiglia. Una volta scarcerato e accolto in ambasciata a Khartoum ha trovato il supporto psicologico necessario per superare alcuni momenti di difficoltà assoluta e l’immagine del suo profilo social che immortala il capitano Achab non è casuale: “Lui è un altro che mi ha salvato. Durante le giornate di estrema solitudine, chiuso in ambasciata, mentre fuori sparavano, ho trovato un cd con la storia di Moby Dick. Senza internet, senza telefono, l’ambasciata semi-deserta, fuori gli scontri, la solitudine assoluta di certe giornate è difficile da immaginare. Così mi sono detto: devi trovarti uno scopo. E allora ho iniziato a imparare a memoria le parti del romanzo, a partire dai monologhi del capitano Achab”.
MARCO ZENNARO: “NON VEDO L’ORA DI RIVEDERE LA MIA FAMIGLIA, CHE ORA PERÒ HA IL CORONAVIRUS”
Nel prosieguo della sua conversazione con il “Corriere della Sera”, Marco Zennaro ha rivelato che di fondamentale importanza per la sua permanenza in Sudan sono stati Sergio, Emilio e Nino, i tre carabinieri dell’ambasciata, che “mi hanno veramente trattato come fossi un fratello, aiutandomi a superare i giorni più duri, come il Natale. Ma anche in quei giorni in cui, nella completa solitudine, il cervello soffoca i movimenti del corpo, perché la mente si autoprotegge. Sono arrivato a una condizione post traumatica un po’ particolare: cercavo di scuotermi dall’apatia che mi teneva inchiodato su una poltrona o a letto per delle ore facendomi del male da solo”.
Ovviamente, dopo essere rientrato in patria, Marco Zennaro non vede l’ora di rivedere sua moglie Carlotta e i loro tre bimbi, Leonardo, Carolina e Tullia, “ma, purtroppo, due settimane fa sono risultati positivi al Coronavirus e quindi stanno finendo la quarantena. Così, per assurdo torno a casa ma li vedrò dalla terrazza… Non importa, li abbraccerò nei prossimi giorni… Ormai sono tornato”. Come giudica le critiche di suo padre nei confronti della Farnesina? “Siamo in un Paese libero. Io, però, non la vedo come lui, io non mi sono mai sentito abbandonato. Avrei voluto che le cose si svolgessero in maniera diversa, ma non si può chiedere ciò che non si può avere”.