Caro direttore,
non è facile osservare attraverso le lenti dell’analisi politica neppure l’ultimo caso riguardante le navi Ong, anzi: risulta, ancora una volta, assai sgradevole. Ma è evidente che – come pressoché tutti i casi precedenti – anche quello delle navi Mare Ionio ed Eleonore ha visto muoversi in chiave essenzialmente politica tutti i player: salvo naturalmente i migranti che, per fortuna, hanno infine potuto trovare soccorso umanitario in Italia.



Perché la Mar Ionio (di una Ong italiana) è stata tenuta bloccata al largo di Lampedusa dopo la “caduta” di Matteo Salvini? Perché l’impasse si è sbloccata solo oggi e non prima di un forzamento di blocco da parte della Eleonore (di una Ong tedesca)?

Può non essere fuorviante mettere subito a fuoco il ruolo ennesimo di un’organizzazione tedesca, ufficialmente umanitaria. Due mesi dopo la Sea Watch 3 – che sotto la guida della capitana Carola Rackete speronò una motovedetta militare italiana per attraccare a Lampedusa – è ancora una nave con passaporto tedesco a violare i confini italiani. Accade – ancora una volta – in ore politicamente tese in Italia e in Germania, quindi in Europa. 



A Roma sono tuttora in corso difficili consultazioni per il “ribaltone” destinato a cacciare dal governo il ministro dell’Interno leghista. Ma da ieri sera a Berlino leader e media sono in gara faticosissima per celebrare una (molto presunta) “non sconfitta” della coalizione Merkel alle elezioni locali nella Germania orientale. La realtà è che in Sassonia l’AfD anti-migranti (nata nel 2013) è passata in cinque anni dal 9,7% al 27,5%, mentre la Cdu è crollata dal 39,5% al 32%, mentre la Spd è stata quasi annientata (il quinto partito con il 7,7%). In Brandenburgo altro boom per gli xenofobi (dal 12% al 23,5%) e crollo invertiti per Spd (che resta primo partito col 26,5%) e Cdu, che cala dal 22,9% al 15,5%).



Ogni ipotesi su mosse dettate alla Eleonore dal deep state tedesco non potrà ovviamente mai essere verificata. Ma è noto che sull’incandescente fronte-migranti sono in corso da molti mesi violenti conflitti intestini alla compagine Cdu-Csu e fra governo e apparati di sicurezza di Berlino. È rimasta figura controversa la stessa “capitana Carola”: figlia di un ex ufficiale della marina federale e oggi manager di un’azienda di armamenti. E anche l’incidente della Sea Watch 3 è avvenuto alla vigilia di un passaggio critico per la politica italiana, tedesca, europea: il Consiglio Ue che fra il 30 giugno e il 2 luglio decise il nuovo organigramma di Bruxelles e l’ascesa di Ursula van der Leyen.

Due mesi dopo in Italia sta comunque prendendo forma un “governo Orsola”, la cui ragione visibile è l’espulsione del vicepremier da Palazzo Chigi. Nella crisi politica d’agosto ha avuto un ruolo niente affatto secondario un’altra nave Ong: la Open Arms, gestita da un’organizzazione spagnola (Madrid è dai tempi del salvataggio del suo sistema bancario una capitale-satellite di Berlino: ha sostenuto fin dal G7 di Osaka i diktat di Merkel e Macron sulle nomine Ue e ne è stata ricompensata con la poltrona di “Mr Pesc” per il socialista Josep Borrell).

Com’è noto la Open Arms è stata oggetto di un immediato alt da parte del Salvini, cui peraltro il presidente del Consiglio Conte ha subito inviato una singolare lettera nella quale invitava il Viminale a lasciar sbarcare i migranti. La situazione – nonostante un’altrettanto inedito intervento ferragostano del Tar del Lazio – rimane tuttavia congelata per giorni: fino alle dimissioni del premier Conte in Senato, accompagnate il 20 agosto da violente accuse personali al suo vice. È solo allora che – praticamente in tempo reale – la Ong spagnola viene autorizzata ad attraccare: su ordine della Procura di Agrigento, che ha poi rimesso nel mirino lo stesso Salvini con un’indagine “contro ignoti” per sequestro di persona. Anche durante il caso Open Arms il ministero della Difesa, retto dalla capitana  Elisabetta Trenta (M5s), ha confermato in via ufficiosa il costante malumore “grillino” degli apparati militari per la fermezza del vicepremier leghista sui confini marittimi mediterranei.

La Mar Ionio compare al largo di Lampedusa il 28 agosto. La crisi di governo è in corso da sei giorni e sta maturando il reincarico formale a Conte per un governo “giallorosso”. Salvini, ancora in carica, firma un ennesimo stop. Il copione Open Arms sembra ripetersi, ma gli sviluppi sono molto diversi. Il premier (lui pure in carica per gli affari correnti a capo del governo gialloverde) tace giovedì 29 all’uscita dal Quirinale, non solo sul caso ma sull’intera questione migranti. Venerdì 30 abbandona tuttavia per un’ora le consultazioni e partecipa ai funerali del cardinale Silvestrini: al termine dei quali si intrattiene con Papa Francesco, non rinunciando a una photopportunity.

Il Pd enfatizza intanto una netta revisione – se non l’abolizione – dei decreti sicurezza nella propria “bozza di contratto” con M5s. Ma la risposta, nel fine settimana, è per certi versi sorprendente: il ministro Trenta – assieme al collega pentastellato Toninelli – controfirma il “blocco Salvini” proprio quando il confronto fra dem e M5s entra nel vivo. E se i contrasti sulla composizione del nuovo governo sembrano prevalenti, il caso Mar Ionio ricorre nei commenti come prova concreta di incompatibilità reali fra i due candidati partner del Conte 2. Il filone Mar Ionio costituisce in ogni caso il filo rosso di almeno quarantott’ore di consultazioni: con passaggi ai limiti del surreale come il sollecito perentorio giunto “dai vertici Pd a Palazzo Chigi” su Lampedusa mentre i contatti fra il premier e il leader Pd, Zingaretti, erano praticamente ininterrotti.

Il “Conte-quasi-2” di fine agosto appare nondimeno “falco” tanto quanto il “Conte-ancora-1” di inizio agosto era sollecito nel vestire i panni della “colomba”. E il ri-candidato premier, nonostante la “photop”, si preoccupa tuttavia di rimanere acrobaticamente “equidistante” fra Lega, M5s e Pd mentre una nave di migranti lancia un Sos umanitario a Lampedusa. E la soluzione – per la Mar Ionio – arriva comunque ancora per iniziativa giudiziaria: e non prima di un nuovo “sfondamento” tedesco nelle acque territoriali italiane.

Le ipotesi interpretative possono essere numerose e forse in parte banali, ma certo non prive di significato nell’attuale passaggio politico. Le pressioni crescenti sul premier “ribaltonista” hanno avuto certamente il loro peso (oggi l’ex ministro della Famiglia, Fontana, lo ha accusato direttamente di aver venduto se stesso e l’Italia alla Ue di nascosto dalle istituzioni democratiche). Ma ne stanno avendo anche le estreme resistenze del leader formale M5s Luigi Di Maio – spalleggiato evidentemente da molti ministri e parlamentari del suo partito – contro la fretta del leader-guru Beppe Grillo di assecondare “l’operazione Conte-2” sotto la regia del Quirinale. Né possono essere dimenticate le pubbliche parole di rispetto personale rivolte da Di Maio a Salvini al Quirinale: parole che tutt’oggi fanno ipotizzare a qualcuno addirittura una possibile ripresa dell’esperienza gialloverde, forse in un secondo tempo.

Ma è del resto oltre il “qui e ora” del governo “ad ogni costo” caldeggiato da Usa, Ue e Santa Sede che sembrano muoversi le forze politiche: nelle cui stanze dei bottoni nessuno è pienamente convinto che il Conte 2 sarà un governo di legislatura, senza elezioni anticipate. E poi tre voti regionali (Umbria, Calabria ed Emilia Romagna) sono in programma già entro l’anno e saranno, con qualche probabilità, test per la riproposizione della neonata coalizione “giallorossa” su scala amministrativa.

Come reagirà l’elettorato al “ribaltone”? Come reagirà – nello specifico – al principale dietro-front strutturalmente implicito nella maggioranza “anti-Salvini”? Quel che pare di osservare è che M5s – già fortemente punito al voto europeo di maggio – è molto preoccupato di tenere quanto più possibile distinta la sua propria identità da quella del Pd. E sbaglierebbe chi dimenticasse che una forza politica radicatissima nel Sud, votata in massa da disoccupati giovani e meno giovani allettati da reddito di cittadinanza e “navigator”, ha tenuto una posizione storicamente riflessiva sui migranti (all’ultimo voto europeo la Lega è cresciuta molto nella Sicilia di Lampedusa).

Sotto questo profilo un’adesione immediata alla linea Pd (le frontiere aperte come valore quasi ideologico e come principale arma “anti-Salvini”) può suonare un’imbarazzante resa senza condizioni a quello che resta, al momento, il socio parlamentare di minoranza della coalizione. Last but not the least: nel merito – ma è il merito che conta anche in una democrazia parlamentare – nessuno sottovaluta un rischio continuamente e brutalmente sussurrato da molti, ovunque: “E se la riapertura dei porti ai migranti aumentasse ancora il 30-35% che la Lega ha conquistato alle europee e che i sondaggi confermano anche oggi?”.