Margherita Mirabella è una delle due figlie (l’altra si chiama Marta) di Michele Mirabella, storico conduttore di “Elisir” e di alcune trasmissioni radiofoniche, nonché autore, regista, giornalista, esperto di medicina e professore universitario. Margherita nella vita di tutti i giorni fa la fotografa e ha raccontato a “The Daily Cases” le emozioni che le regala la sua professione. “Il mio interesse per la fotografia è nato dalla mia passione per la memoria: la memoria di un instante, la memoria collettiva e storica come quella privata di un album di famiglia. Le foto private che guardavo da bambina, quasi ossessivamente, e le foto dei grandi fotografi a volte incontrate per caso”. Un amore nato anche grazie alla sua famiglia: “Ho studiato tanto la storia dell’arte, mio nonno dipingeva nel tempo libero, mia madre mi ha sempre portata a vedere grandi mostre e musei, mio padre Michele mi ha fatto trascorrere parte della mia infanzia nei teatri dove faceva il regista di spettacoli di prosa, diciamo che ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente di grandi stimoli culturali e prettamente visivi”.



MARGHERITA MIRABELLA: L’ESPERIENZA AFRICANA

Margherita Mirabella, di recente, si è resa protagonista di un’esperienza in landa africana, in collaborazione con “Operation Smile”. “Il progetto è quasi nato per caso e ha cambiato il mio modo di intendere il mio lavoro e anche il mio rapporto con la quotidianità di persona che vive in un paese dove ha accesso ad acqua potabile, cure mediche ed elettricità. Sempre”, ha commentato ai microfoni di “The Daily Cases”, per poi aggiungere: “Quando si parla di Africa il rischio di dire banalità è altissimo, quindi vorrei limitarmi e dire che lavorare con medici o con ragazzi che dedicano il loro tempo e il loro talento a cambiare e migliorare le condizioni di vita di alcune persone che sarebbero perdute è un onore e una fortuna. Ho vissuto in Ruanda per un po’, ho raccontato per un magazine italiano la storia di una donna straordinaria che negli ultimi 20 anni ha sostenuto e aiutato decine e decine di donne traumatizzate dal Genocidio dei Tutsi, risalente al 1994. Ecco, lavorare al fianco di questa donna è stata la lezione di vita che spero mi abbia resa una persona migliore”.

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