8 anni fa la scomparsa di Maria Chindamo, imprenditrice 42enne che la mattina del 6 maggio 2016, davanti ai terreni di sua proprietà a Limbadi (Vibo Valentia), sarebbe stata rapita per essere poi uccisa e data in pasto ai maiali, i resti distrutti con un trattore. Poche ore fa a Catanzaro si è aperto il processo a carico dell’unico imputato, Salvatore Ascone, dirimpettaio delle terre che la vittima aveva ereditato dal marito defunto, dal quale si era separata, ritenuto vicino al clan dei Mancuso e accusato di concorso nell’omicidio che, per gli inquirenti, sarebbe stato ordinato dal suocero della donna, Vincenzo Punturiero, oggi deceduto. Indagato il figlio di Ascone, minorenne all’epoca dei fatti.



La prima udienza in Corte d’Assise è stata breve, ma costituisce per la famiglia di Maria Chindamo un primo prezioso passo per l’accertamento della verità per cui combatte da anni. Ai microfoni della Tgr Calabria il fratello della vittima, Vincenzo Chindamo, assistito quale parte civile dall’avvocato Nicodemo Gentile, ha espresso la sua fiducia nella giustizia. “C’erano sicuramente più soggetti – ha dichiarato il legale – un clan che nasconde una logica tribale e primitiva“.



Processo per l’omicidio di Maria Chindamo: le parole del fratello della vittima

Abbiamo solo un imputato, ma siamo sicuri che non sarà solo questo. C’è tanto ancora da scoprire, tanto ancora da ricostruire e inizieremo a fare questo primo passo insieme“, ha dichiarato il fratello di Maria Chindamo, Vincenzo, parte civile al processo insieme ai tre figli della donna. Secondo l’accusa, Salvatore Ascone avrebbe partecipato al piano di morte deciso dal suocero della vittima, Vincenzo Punturiero, e la sera prima della scomparsa di Maria Chindamo avrebbe manomesso le telecamere di sorveglianza dell’azienda – una ipotesi per la quale sarebbe stato già assolto – così da agevolare il rapimento e il delitto.



Considerato uomo di fiducia del clan Mancuso, Ascone ora è alla sbarra accusato di concorso in omicidio. All’epoca dei fatti, Maria Chindamo avrebbe avuto un nuovo amore e aveva ereditato quei terreni di Limbadi dal marito da cui si era separata, morto suicida un anno prima della sua scomparsa. Stando alla ricostruzione investigativa, qualcuno avrebbe avuto mire sulle proprietà dell’imprenditrice e avrebbe incontrato la sua ferrea resistenza.