Maria Grazia Calandrone racconta la sua storia di abbandono simile a quella accaduta al piccolo Enea. Ospite della trasmissione Siamo Noi su Tv2000, l’autrice racconta che “i miei genitori erano persone che fino a un anno e mezzo fa non sapevo chi fossero, conoscevo soltanto i loro nomi. Lucia era una donna innamorata di un ragazzino senza terra che non le è stato permesso di sposare, costretta a sposare un ragazzo che aveva le terre confinanti con le sue. Stiamo parlando della campagna molisana degli anni Cinquanta, di un matrimonio combinato ed estremamente infelice per entrambi ma soprattutto per mia madre perché veniva picchiata”.
Maria Grazia Calandrone parla della vita di sua madre come di “una gabbia di una violenza inaudita. L’ho compresa nel momento in cui ho letto una lettera scritta da suo marito”. Papà Giuseppe invece “era un uomo che aveva già cinque figli, molto più grande di lei, che aveva fatto la guerra d’Africa e ne era tornato stravolto, desideroso di vita tanto quanto i suoi occhi avevano visto la morte”. Dei genitori biologici sa che “Giuseppe e Lucia avrebbero voluto amarsi alla luce del sole, ma non c’era il divorzio”, infatti “Lucia venne denunciata dal marito per abbandono del tetto coniugale, concubinaggio e adulterio. Siccome erano tre reati rischiavano due anni di galera e avevano deciso di trasferirsi a Milano. Sono stati costretti alla fuga. Questa denuncia, questa costrizione alla clandestinità, a non poter trovare un lavoro alla luce del sole, li insegue”.
Maria Grazia Calandrone: “miei genitori lasciarono una lettera: parole senza rabbia”
Maria Grazia Calandrone ripercorre con estrema lucidità la dolorosa vicenda dei suoi genitori, che hanno portato alla tragica decisione di abbandonare la loro piccola bambina e di uccidersi nel Tevere. “Ho scoperto che esisteva un orfanotrofio nel quale ero stata ricoverata a Milano, ma non mi è comprensibile perché mia mamma c’era ancora. Ho scoperto che c’era una legge secondo la quale i figli illegittimi venivano consegnati ai servizi sociali in attesa probabilmente di capire” racconta l’autrice. E fa menzione anche di uno scritto che le ha permesso di comprendere il clima di violenza in cui aveva vissuto sua madre in Molise, una lettera redatta dal marito di Lucia: “le suore gli chiesero la retta per il mio alloggio e lui non solo non volle riconoscermi, ma disse delle cose di una violenza che mi ha lasciata insonne per tre giorni”.
Maria Grazia Calandrone, ospite della trasmissione Siamo Noi, racconta infine che “Lucia e Giuseppe a Roma vengono per uccidersi. Ci stanno due ore. Ho fatto un’indagine millimetrica per capire tutti i loro spostamenti: loro sono arrivati in piazza Esedra, hanno lasciato i loro bagagli e tutto quello che avevano. Poi lasciano me a villa Borghese e prima di fare questo mandano una lettera a l’Unità, senza rivendicazioni. Sono poche parole senza rabbia e senza colpa, per dire chi sono io e per dire che loro pagheranno con la vita quello che hanno fatto”. Una lettera simile a quella lasciata per il piccolo Enea.
La storia di Maria Grazia Calandrone: “un giorno Enea leggerà ciò che scriviamo oggi”
A oggi, Maria Grazia Calandrone invoca a “stare molto attenti a come parliamo della vicenda di Enea, perché un giorno leggerà e ascolterà i nostri video e si farà una sua opinione su come questa storia è stata raccolta e accolta”. Un’attenzione e una sensibilità che la stampa dell’epoca non aveva avuto per la sua storia e quella dei suoi genitori.
“Il seme di quell’abbandono crea una rabbia sottile ma, soprattutto quando ho avuto i miei figli, non capivo come si potesse fare una scelta di questo genere, come si potesse strapparsi da un figlio – ammette Maria Grazia Calandrone – finché ho ricostruito tutto e ho sentito quello che lei sentiva. Credo che a un certo punto lei sia stata convinta che la vita con lei e per lei sarebbe stata un inferno, da clandestina e da perseguitata”.