Dimenticate la ragazzina ribelle, irrispettosa, magnifica conduttrice di una piccola rivoluzione musicale, nel bel mezzo del decennio più inutile della storia del rock, gli anni 80, insieme ai Lone Justice. Uno dei pochi gruppi, allora, capaci di ridarci con la loro sferzata cow-punk le emozioni e la libertà che solo il vero rock sa dare. Dimenticate Maria McKee, allora assunta nell’aristocrazia rock tanto che Bob Dylan le scrisse appositamente una canzone da incidere e gli U2 la vollero con i LJ ad aprire molti loro concerti, duettando in travolgenti versioni di Sweet Jane.
Dimenticata, in realtà, lo era già visto che era da 13 anni che non pubblicava più un disco. Chi l’ha seguita sui social, soprattutto Instagram dove è molto attiva, avrà osservato la sua trasformazione. Sposata da anni, oggi si definisce pansessuale, colui chi non dà importanza al genere del prossimo, uomo, donna o transgender che sia. Attivissima a sostegno del movimento Lgbt, appartiene a strane confraternite che praticano anche la stregoneria, nel senso della donna come strega, cioè fuori della società. Racconta di aver vissuto un decennio alla riscoperta di se stessa, colpita dalla lunga malattia della madre e dal dramma di non essere riuscita avere un figlio, a diventare madre.
Adesso, a 56 anni, sa chi è e per questo ha pubblicato finalmente il suo nuovo disco solista, dopo l’ultimo lavoro in studio, Late December, e un paio di live Se si eccettua il secondo, splendido lavoro, You Gotta Sin to Get Saved, manifesto dell’allora imperante alternative country, Maria aveva già mostrato cambi di rotta totali rispetto al suo passato. Il successivo Life is Sweet, ad esempio, la vedeva immersa in una sorta di rock garage caotico dove si esibiva anche alla chitarra solista; il bellissimo High Dive era una coraggiosa sfida a base di pop orchestrale, tra Brian Wilson, Scott Walker e Jimmy Webb. Il nuovo lavoro riprende proprio da qui, da questa sorta di psichedelia pop barocca, portandola ancora più avanti, ma ricordandosi di essere stata una artista rock.
Il risultato è un disco bellissimo, non facile da ascoltare, e dove la sua incredibile e pulsante vocalità raggiunge il vertice. Adesso Maria McKee è tra le più grandi cantanti della storia del rock per la capacità di esprimere emozioni profonde, travagli interiori e un senso della melodia purissimo. Vive a Londra e questo si può sentire, soprattutto dal punto di vista lirico, con riferimenti a William Blake fra gli altri. Ovviamente la chiave di tutto è Dante, a cui è dedicato il titolo del disco, La vita nuova, l’opera che precede la Divina commedia sull’amore non corrisposto, e che fu scritta a partire dal primo incontro con Beatrice fino alla morte di lei.
Ardente, anglofilo, anacronistico, massimalista e barocco, La Vita Nuova è composto come un’elegia del desiderio. Sebbene l’inconscio slancio per realizzare questo album sia stato quello di elaborare lo shock di una delle sfide personali più impegnative nella sua vita, lo scioglimento e la reinvenzione del suo matrimonio, le canzoni sono densamente liriche. La produzione è orchestrale e operistica e prende spunto dal lessico delle icone di McKee: John Cale, Scott Walker e David Bowie. Ma è anche rock, visto l’abbondante uso di chitarre acustiche ed elettriche. Le fonti di ispirazione sono molteplici: in Page Of Cups appare la figura di “musa inaspettata e sorprendente” negli arcani dei Tarocchi minori. Musicalmente, come ha detto lei stessa, avrebbe potuto essere scritta dal fratello scomparso, il leggendario Bryan MacLean, chitarrista dei Love.
Effigy of Salt è un brano melodrammatico, voce e archi, una maestosa interpretazione. Page of Cups è una bellissima ballata rock cantata divinamente in cui entrano gli archi creando una ambientazione da colonna sonora, aprendo un orizzonte infinito, mentre la voce ricorda il tipico fraseggio spezzato dei tempi dei Lone Justice. Le me Forget si apre ancora con una chitarra acustica e pianoforte, una melodia ricca di mestizia e tenerezza e anche qui sopraggiunge l’apertura orchestrale, regalando toni di pop psichedelico con tanto di bel solo di chitarra elettrica. I Should Have Looked Away la vede ripiegare su se stessa, solo voce e pianoforte, toccando vertici di romanticismo quasi ottocentesco. Right down to the Heart of London scivola su una melodia brillante che ricorda la Joni Mitchell di Blue; anche qui gli archi intervengono ad allargare il respiro musicale del brano. E’ la title track però il pezzo che più impressiona, con una apertura vocale in crescendo immensa e una orchestrazione struggente e possente.
Il disco prosegue così, forse 14 brani sono troppi e alcuni risultano ripetitivi, ma lei dice che in questi ultimi anni ne ha composti almeno 40.
Artista unica dotata di una caratura superiore alla media, Maria McKee prosegue senza paura il suo personalissimo viaggio interiore e artistico.