Dopo Valente e Concia, la terza voce “fuori dal coro” sul Ddl Zan arriva da Marina Terragni, giornalista, scrittrice e femminista da decenni: nell’intervista del 25 aprile ad Antonello Piroso su “La Verità” l’attivista per i diritti delle donne condanna nettamente la posizione del Partito Democratico sulla formulazione della legge contro omofobia e transfobia. «Alessandro Zan fugge dal confronto come un leprotto e Pd non pervenuto»: durissima Terragni che insieme alla dem Valeria Valente e all’ex dem Paola Concia sono state vittime di shitstorm e offese via social per la loro critica formulata nei dettagli al testo di legge ancora fermo al Senato.



«Le donne dem? Allineate e coperte dietro i capibastone, con la sola, meritoria eccezione di Valeria Valente, oggetto di shitstorm e manganellate digitali sui social insieme a Paola Concia, che si è permessa di aver sollevato dubbi sull’opportunità di includere la misoginia tra i crimini perseguibili dalla legge, approvata alla Camera e ora all’esame della commissione Giustizia al Senato», attacca ancora Terragni su “La Verità”. Ad essere contestato non è solo la “sordità” politica di chi ritiene che il Ddl Zan sia giusto così come è stato formulato, ma anche l’assoluta avversione contro chi si permette di dissentire, da sinistra, alla legge anti-omotransfobia: «c’è come un’inversione dell’onere della prova politicamente corretta, costringere chi si azzarda a criticare un testo pensato male e redatto peggio a discolparsi dall’accusa di essere omofoba e transofoba».



LO SCONTRO TRA FEMMINISTE E LGBT

Terragni riporta il pensiero di diverse sigle femministe che vedono di cattivo presentimento l’inserimento dell’autocertificazione di genere che «prescinde dall’apparato genitale»: per la scrittrice quel self-id è un «obbrobrio. Si prescinde dall’apparato genitale, l’identità è quella percepita e dichiarata. E guardi che è un cambiamento così epocale, quello che si intende perseguire, che il movimento di resistenza è globale». Davanti al tentativo di Zan di “rispondere” alle richieste del mondo femminista – con l’inserimento del comma sulla misoginia nel testo del disegno di legge – Marina Terragni lo boccia su tutta la linea, «a Letta e al Pd vorrei porre diverse domande», incalza l’attivista a Piroso, «come può accettare che le donne vengano intese come una minoranza, quando sono la maggioranza del Paese? O che ai genitori degli alunni non sia consentito di decidere, in base a un sacrosanto principio di libertà, se mandarli o meno al corso di formazione Lgbtq? L’ora di religione facoltativa, il transcult invece obbligatorio?». Una legge “liberticida” che è come un “insulto al femminismo” e una necessaria resistenza globale che dovrebbe scattare ma, conclude Terragni, «in Italia chi si oppone viene zittito» e tra l’altro dalla stessa parte politica di provenienza delle voci in contrasto.

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