È entrato ufficialmente nel vivo con l’inizio della fase dibattimentale vera e propria il processo intentato dal Parlamento europeo contro la leader di estrema destra francese Marine Le Pen, accusata – assieme ad altri 24 colleghi – di appropriazione indebita per aver (secondo l’accusa) incassato dei rimborsi che erano destinati ad eurodeputati del suo partito che non avrebbero quasi mai messo piede negli uffici di Bruxelles: le prime accuse contro Marine Le Pen risalgono al 2015 e farebbero riferimento al periodo tra il 2004 e il 2016, parlando di un vero e proprio sistema “centralizzato” per incassare le indennità europee.
Facendo un passetto indietro – e qui trovate tutti i dettagli nello specifico – secondo la tesi dell’accusa Marine Le Pen avrebbe indicato come eurodeputati alcuni personaggi di spicco del suo partito che avrebbero (coerentemente alla legge europea) ricevuto le dovute indennità pur non mettendo mai svolgendo alcuna attività legata all’europarlamento: se le accuse venissero confermate la leader del Rassemblement national rischierebbe fino ad un massimo di 10 anni di reclusione, unitamente ad una multa da 1 milione di euro e all’ineleggibilità fino ad un massimo di 10 anni; di fatto fermando la sua – almeno attualmente – scontata vittoria alle elezioni del 2027.
La tesi difensiva di Marine Le Pen: “Sono innocente e questo è un processo strumentale”
Proprio in questi giorni – dicevamo in apertura di questo articolo – Marine Le Pen è comparsa per la prima volta davanti ai giudici europei dopo aver continuato per mesi a dirsi assolutamente innocente da ogni accusa mossa a suo carico e dopo essere riuscita a mantenere la calma nei primi momenti del dibattimento (racconta il sito Euractiv) si è fatta via via sempre più nervosa man mano che le pressioni dei giudici si facevano più opprimenti evidenziando il caso – tra i tanti – dell’eurodeputata Catherine Griset che avrebbe trascorso all’incirca 12 ore a Bruxelles e Strasburgo nell’arco di quasi un anno, mentre registrava tra i 15 e i 22 giorni mensili negli uffici parigini del partito.
Dal conto suo Marine Le Pen sembra puntare la sua intera difesa sul fatto che – spiega lei stessa – “un deputato lavora (..) per le sue idee” e di conseguenza “per il partito”, spiegando che avrebbero risolto il problema di politici “che fanno la stessa cosa di quello che gli lavora accanto” con un sistema di “circolazione degli assistenti parlamentari”; il tutto mentre sostiene di avere “solide” argomentazioni a favore della sua tesi in un processo che definisce assolutamente “strumentale [e] politico“.