Mario Delpini, arcivescovo di Milano, da tempo propone riflessioni sul carcere come luogo di detenzione ma soprattutto di riabilitazione. Un carcere che “forse non dovrebbe esistere” ma che possa essere un luogo in cui “i detenuti possano riparare al male compiuto” senza “essere più considerati un peso o un pericolo, ma collaboratori per una società migliore”. Sono le riflessioni proposte durante un incontro con la stampa avvenuto all’interno del carcere di Opera il 27 settembre.
Per l’arcivescovo Mario Delpini, occorre fare “una riflessione molto profonda che guarda a percorsi per una riabilitazione attraverso il lavoro, la cultura, il servizio ai più bisognosi” per costruire un modello di carcere in cui le priorità siano “la riabilitazione” e la “dignità umana”. Le sue parole, pronunciate nel carcere di Opera e riferite da Avvenire, hanno avviato un dibattito con altre personalità riunite in occasione della presentazione del libro ‘Vita di Gesù’ di Andrea Tornielli. Secondo Silvio Di Gregorio, direttore del carcere di Opera, “Gesù è l’uomo dell’incontro, e i detenuti hanno bisogno di incontri che li aiutino a cambiare”. Un cambiamento che è strettamente connesso con il concetto di perdono.
Mario Delpini arcivescovo di Milano: “il paradosso del perdono cristiano è…”
Nel carcere di Opera si parla di un nuovo modello di detenzione, ma anche di profonde riflessioni intimamente legate al cristianesimo. “Essere perdonati è la cosa più bella della vita – ha confessato Andrea Tornielli nel corso della presentazione, come riporta Avvenire – è un’esperienza dell’altro mondo, e impariamo a perdonare se facciamo l’esperienza di essere perdonati”. E Mario Delpini riconosce a sua volta che “se c’è una cosa divina, è il perdono. Quando perdoniamo, siamo come Dio”.
Per l’arcivescovo di Milano, “il perdono di Dio è il desiderio che il peccatore sia felice, l’uomo ricostruito” e pertanto “perdono non è dimenticare, è desiderare il bene di chi ci ha fatto il male. Ecco il paradosso del perdono cristiano”. Un tema che i detenuti, come spiega Avvenire, vivono non soltanto sulla propria pelle ma anche nei confronti di chi ha fatto loro del male. Ed ecco allora lo scopo della presentazione nel carcere di Opera, riassunto dallo stesso autore Andrea Tornielli: riconoscere il “Vangelo come qualcosa che accade oggi davanti a noi, nuovamente. Il Vangelo diventa attuale se abbiamo di fronte fatti di Vangelo”.