COSA PREVEDE IL “PROGRAMMA” DI MARIO DRAGHI PER LA PROSSIMA EUROPA

Nell’anticipare il suo report sulla competitività Ue, Mario Draghi è come se avesse lanciato il suo “programma” per il futuro dell’Europa: già nell’analizzarlo ieri, parola per parola, commentavamo sulla possibilità di un’uscita allo “scoperto” dell’ex BCE e Presidente del Consiglio in vista di una possibile nomina alla guida della Presidenza Commissione Ue. Il dibattito è tutto aperto e il piano Draghi sulla competitività ha già lasciato il segno prima ancora che venga pubblicato ufficialmente: «un cambiamento radicale» per un’Europa che al momento «è concentrata sulle cose sbagliate». Così con schiettezza dal Belgio – nella conferenza sulla competitività – Draghi inquadra le priorità per far fronte alle sfide dell’immediato futuro: «Gli Stati della Ue non possono continuare a farsi la guerra, devono unire le forze e concordare una strategia complessiva per una nuova Unione, non meno ambiziosa di quella operata dai padri fondatori 70 anni fa».



Urge un piano industriale, una strategia comune per le tecnologie, e poi ancora «sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti, su un sistema di difesa integrato e adeguato a livello Ue, una posizione di leadership nell’innovazione deep-tech e digitale…». Alla nuova Commissione Ue a giugno Draghi consegnerà il report sulla competitività fondata su 10 macro-settori e 3 fili conduttori, riporta oggi il focus di Monica Guerzoni sul “Corriere della Sera”: «Favorire le economie di scala; fornitura di beni pubblici nei settori come energia e tecnologie; garantire l’approvvigionamento di risorse e input essenziali», questi i punti chiave analizzati dall’ex Premier Draghi nel suo discorso da La Hulpe ieri dal Belgio.



I (PRESUNTI) CONTATTI DRAGHI-MELONI, LA PRUDENZA NEL CENTRODESTRA E IL DIBATTITO SCATTATO IN UE

Il dibattito intanto è scattato in Europa e non da ieri sul ruolo di Mario Draghi come potenziale prossimo Presidente del Consiglio Ue o addirittura alla guida della Commissione Europea: «Draghi ha centrato il punto nello stressare il fatto che alcune delle nostre politiche sono state disegnate 20, 30 anni fa e in questi anni il mondo è cambiato», lo elogia l’indomani del discorso “programmatico” il commissario Ue uscente Paolo Gentiloni (Pd). Se la Premier estone Kaja Kallas spegne le voci di consultazioni già iniziate sui nomi dei prossimi commissari («a livello di leader non stiamo ancora parlando delle cariche di vertice dell’Ue, perché non sappiamo quale sarà il risultato delle elezioni europee e perché in alcuni Paesi si devono tenere le elezioni nazionali, dunque ci sono troppe incognite: il vero dialogo inizierà a giugno»), da Orban arriva un’ìnattesa apertura all’ex BCE, «molto rispetto per Mario Draghi ma non voglio interferire in vicende italiane o altro. Lo rispetto molto, questo è quanto ho da dire». In visita a Palazzo Chigi la scorsa settimana era stato lo stesso Charles Michel, Presidente del Consiglio Ue uscente, a indicare Draghi come un nome assolutamente da tenere in considerazione: «Draghi ai vertici? Attendiamo i risultati delle Elezioni, dovremo trovare un accordo sull’Agenda strategica e infine proporre una squadra a capo dell’Ue».



Nel frattempo, come racconta oggi Adalberto Signore sul “Giornale”, negli ultimi mesi sarebbero stati diversi i contatti fra Giorgia Meloni e Mario Draghi, «quasi sempre diretti e senza alcuna intermediazione»: al “piano A” legato ad un appoggio a Von der Leyen, la Premier in quota FdI avrebbe mantenuto ottimi rapporti con il suo predecessore provando a giocare d’anticipo rispetto agli altri partner europei “testimonial” da tempo dell’BCE (leggasi Macron, ndr). La linea resta prudente a Palazzo Chigi anche se Meloni in più occasioni ha garantito che un vero e proprio passo avanti lo si avrà dopo il voto di giugno: questo anche perché, oltre a Draghi e Von der Leyen, anche il nome di Antonio Tajani resta uno dei nomi in lizza tra i “big” del PPE per la guida della prossima Europea.

Al netto però del dibattito scattato tanto in Ue quanto nella politica italiana, resta un principio da sottolineare prima di ogni considerazione: affinché Mario Draghi possa divenire prossimo Presidente della Commissione Ue deve essere decisivo l’appoggio/il sostegno di Palazzo Chigi. Come ben spiega il giornalista politico Fabio Dragoni, come per qualsiasi potenziale commissario Ue deve esserci la piena aderenza del Paese indicante, «dopodiché sarà il Parlamento di Strasburgo neo eletto ad approvare la sua eventuale nomina a presidente qualora il Consiglio Europeo lo proponga caso mai come candidato». Insomma, senza l’appoggio del Governo in carica, Draghi non può nemmeno aspirare alla nomina: con Meloni ben disposta, Salvini già orientato sul “no” e Tajani che potrebbe avere l’aspirazione personale a prendere il posto di Von der Leyen in casa PPE qualora la Presidente uscente venisse “scaricata’ dai Popolari dopo le Europee. Come chiarisce ancora Dragoni, «Lo spinning che ascoltate in queste ore…tipo l’appoggio di Bruxelles, di Macron e Tusk…è una banale perdita di tempo».