La storia di Mario 56enne ex promessa del calcio. Quando era giovane sfidò Paolo Maldini (“Era molto più forte di me anche se aveva due anni in meno”), ma a differenza del campionissimo del Milan seguì una strada sbagliata, perdendosi fra l’eroina e la violenza in quel di Quarto Oggiaro, condizionato da un ambiente famigliare tutt’altro che semplice. A salvarlo fu il suo fido amico a quattro zampe, Lucky. Mario si è raccontato al Corriere della Sera, a cominciare proprio dalla passione per il calcio e dalla grande occasione chiamata Bologna: «Avrebbero trovato una scuola per me, un lavoro per mia madre». Serviva una firma, quella del padre, che però non arrivò mai: «Se vai via da Milano, io come faccio a stare qui?» gli disse. Il papà è stato per Mario come per molti figli un esempio da seguire, ma non era proprio uno stinco di santo: «Era il classico zanza milanese – racconta ancora – si atteggiava come Vallanzasca o Luciano Lutring. Nipote di una socialista convinto, si definiva un Robin Hood che fregava ai ricchi. Veniva considerato il più intelligente dai suoi compagni, aveva ideato un metodo tutto suo per rubare dalle casse continue. Era molto vicino alla Banda Dovunque, detta così perché rapinava in ogni parte d’Italia. Uno dei capi, Ugo Ciappina, è stato il mio padrino». Mario crebbe quindi in un ambiente di violenza, poi a 14 anni arrivò l’eroina: «Ero un garzone di bottega, studiavo da falegname. Ad un certo punto passano i miei amici: “Stiamo andando a farci un pippotto di roba”, mi dicono. Mi tolgo il grembiule, chiudo il negozio, li seguo. Non so neanche perché. Da Via Padova alle Varesine, poi eccoci in un parco sopra Corso Garibaldi. Dal nulla sono entrato in un tunnel. E non avrei visto la luce fino ai 30 anni».



Di quel vecchio gruppo non se ne è salvato nemmeno uno, tutti uccisi dalla droga, nel frattempo Mario ha continuato la sua vita percorrendo le strade più impervie: «Mi arrestano la prima volta a 16 anni, avevo rubato un motorino. Mi faccio tre mesi di Beccaria, poi esco ma a 18 sono di nuovo dentro per rapina. Risse nelle docce, ergastolani che affilano i coltelli per farsi giustizia da soli, teste infilate nei cessi alla turca. Però erano i tempi dell’amnistia e dell’indulto. La mia richiesta viene accettata e finisco in comunità. Tutti ci facevamo, ragazzini, preti, avvocati – ha continuato – ma la siringa restava una cosa da nascondere. Uno si incaricava di andarla a comprare, gli altri lo aspettavano sul posto. Finiva che in 10 usavamo la stessa, con tutte le conseguenze del caso».



MARIO, IL MATRIMONIO E L’ARRIVO DI LUCKY

A 24 anni Mario lascia la comunità e trova l’amore della sua vita. La loro è però una storia travagliata che dura poca, anche perchè Mario continua a drogarsi. Un giorno, la sua compagna si presenta con un cagnolino: «Mezzo pastore e mezzo molosso: “Sai come sto e mi lasci un cane? Che ci faccio?”, le chiedo furioso. C’era anche mio nipote lì con lei. Mi avvicino con la testa: “Va bene, come lo chiamiamo?”. Ci pensa un po’ su: “Lucky. Lo chiamiamo Lucky!'”». Che in inglese significa «fortunato».



E fu proprio Lucky a salvare la vita a Mario: «Lucky non mi ha mai lasciato solo. Dormivo negli androni dei palazzi e mi scaldava con la pancia. Collassavo su una panchina dopo una dose e non faceva avvicinare nessuno. Anzi, la mattina andava da Pino, un panettiere in piazza Lima che mi regalava sempre due brioche e un caffè. Lucky afferrava il sacchetto e me lo portava. Un giorno lo guardai: “Se muoio cosa ne sarà di te? Vivrò fin quando vivrai anche tu, gli promisi. Così ho smesso con tutto”». Lucky ad un certo punto è morto ma Mario ha deciso di prendere altri cani con cui vivere. Ora vive in una casa popolare con una pensione di invalidità da 300 euro: «Ma non ho paura, il Mario di prima l’ho ucciso». Quindi ha concluso: «Cosa direi al Mario bambino? Di non avere paura. Di rialzarsi, di scappare lontano. Magari inseguendo un pallone».