Sono le ore decisive della crisi di governo, Mario Monti manda un messaggio a Giuseppe Conte, ma non solo. Il senatore a vita ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del Corriere della Sera ed ha parlato di due possibili variante di governo istituzionale: o i partiti di maggioranza affidano a un “tecnico” la posizione di guida perché i leader non trovano un accordo (esempio Conte I) oppure c’è l’ipotesi di un esecutivo di unità nazionale.



La variante della grande coalizione, secondo Mario Monti, si registra solo quando il  Paese è alla canna del gas: «Allora, scatta un allarme. Occorrono decisioni, non promesse per assecondare gli interessi di questi o di quelli. Quelle decisioni sono in sé difficili da prendere, può darsi che tanti politici non ne siano capaci. E sono impopolari, perché se fossero popolari sarebbero già state prese. Meglio chiamare qualcuno che possa mettere un po’ d’ordine e di chiarezza. E fargli prendere le decisioni impopolari». Un giudizio legato inevitabilmente anche alla sua esperienza a Palazzo Chigi…



Mario Monti: “Se non ha il controllo, Conte non deve accettare l’incarico”

Mario Monti ha invocato un accordo tra tutti i partiti della maggioranza uscente, un’intesa che sia precisa e «non fonte di nuovi litigi tra un mese». «Ma se Fico riuscirà in questa impresa, molti si chiederanno: perché non viene messo lui alla prova, di formare e guidare il nuovo governo?», il quesito dell’ex premier, che ha poi messo in evidenza: «Conte ha già provato una volta, nel 2018, a dirigere un governo del quale di fatto non aveva scelto né il programma né i ministri. Penso che se incontrasse oggi qualcosa di simile, non dovrebbe accettare».



Mario Monti ha poi sottolineato l’importanza di nuove riforme per l’Italia, anche in base al Next Generation Eu, progetti che toccheranno forti e consolidati interessi corporativi: «Non è tanto probabile che un Paese che non cresce, ma che annega nella liquidità (grazie anche agli interventi della Bce che anestetizzano i politici e in genere gli italiani rispetto all’andamento del disavanzo e del debito pubblico) senta l’urgenza delle riforme e che i politici siano pronti a pagarne il conto in termini di consenso».