Mario Paciolla, cooperante dell’Onu morto in Colombia nel 2020, è al centro di un caso che secondo la Procura di Roma dovrebbe essere inquadrato come suicidio. Uno scenario che avrebbe spinto per la richiesta di archiviazione a cui, da subito, la famiglia del giovane napoletano si è opposta fermamente. Mario Paciolla fu trovato senza vita il 15 luglio di due anni fa, impiccato in quella che secondo i pm della Capitale sarebbe la scena di un gesto estremo di natura volontaria.



All’epoca, Mario Paciolla si trovava nel Paese del Sud America come volontario delle Nazioni Unite e il corpo sarebbe stato scoperto nella sua abitazione a San Vicente del Caguán, dove viveva in costanza dell’impegno assunto nell’ambito di un progetto di pacificazione interna tra governo locale ed ex ribelli delle forze rivoluzionarie Farc. Le indagini avviate nello spettro di un fascicolo per l’ipotesi di omicidio, aperto a carico ignoti, nel corso di questi anni secondo gli inquirenti non avrebbero prodotto elementi concreti per ritenere valida la pista di un delitto, ma i familiari di Mario Paciolla continuano a sostenere che non si sia suicidato. Ancora troppe le domande insolute nel caso perché possa concludere con una archiviazione con questa chiave di lettura.



Mario Paciolla: la famiglia si oppone all’archiviazione

Due anni dopo la morte di Mario Paciolla in Colombia, cosa sia davvero successo al cooperante Onu 33enne resta ancora un mistero su cui i familiari chiedono di indagare ancora. Una posizione che contrasta con quanto avanzato dalla Procura di Roma che, il 19 ottobre scorso, avrebbe presentato una istanza di archiviazione ritenendo più plausibile la pista del suicidio. Ma i fatti, secondo i parenti del giovane volontario napoletano impegnato in Sud America, non sarebbero andati esattamente come ricostruiti dai pm romani e ben altra realtà si celebre dietro la scena di un presunto gesto estremo: forse un omicidio.



A contribuire a rafforzare questa tesi sostenuta dalla famiglia del 33enne vi sarebbe anzitutto la circostanza in cui sarebbe avvenuto il decesso del giovane. Il giorno della sua morte, infatti, poche ore prima di essere trovato impiccato all’interno della sua abitazione di San Vicente del Caguán, Mario Paciolla avrebbe parlato via chat con la madre anticipandole di aver acquistato un biglietto per tornare in Italia. I dubbi sul suicidio sarebbero quindi supportati da evidenze che aprirebbero a un’ipotesi più sinistra, anche in considerazione del fatto che Mario Paciolla operasse in un contesto particolarmente sensibile e non avrebbe avuto alcun motivo personale, secondo la famiglia, per porre fine alla sua vita in quel modo. Nella vicenda, come riporta La Stampa in un articolo di approfondimento a firma di Luigi Manconi, tra gli interrogativi ci sarebbe quello relativo al ritrovamento del mouse di Mario Paciolla nella sede Onu di Bogotà. Un reperto che sarebbe stato preso dalla sua abitazione dopo il rinvenimento del corpo. Ma non solo: lo stesso mouse sarebbe stato sporco di sangue del 33enne così come la stanza in cui sarebbe deceduto, ripuliti senza approfonditi rilievi.

L’appello della famiglia: “Troppe discordanze e depistaggi, indagate ancora”

I misteri che gravitano intorno alla morte di Mario Paciolla apparirebbero totalmente irrisolti nel tessuto di una archiviazione per suicidio. Anna Motta, madre del 33enne, in un flash mob dello scorso novembre, ha chiesto con forza che le indagini proseguano. “Vogliamo verità dall’Onu“, ha detto la donna, sottolineando la sua amarezza per la tesi della Procura capitolina: “Non è possibile che tutto venga archiviato solo perché sono state cancellate le prove. Tutto ciò che nella casa di mio figlio sarebbe potuto servire per le indagini è stato gettato in discarica“. La famiglia di Mario Paciolla chiede “verità credibili” per onorare il nome di Mario Paciolla. “Mio figlio, secondo la Procura si sarebbe suicidato tre ore prima di partire, ci sono discordanze sulle perizie autoptiche, depistaggi, il fatto che l’ambasciata non sapesse nulla della morte 5 ore dopo l’accaduto“.

Mario Paciolla, riporta ancora la ricostruzione del quotidiano La Stampa, sarebbe stato trovato impiccato e secondo le autorità i polsi presenterebbero ferite autoinferte. Per togliersi la vita si sarebbe stretto un lenzuolo intorno al collo almeno quattro volte, ma l’ampiezza del solco evidenziato sulla pelle del 33enne sarebbe diversa da ciò che ci si aspetterebbe in una simile circostanza. Negli ultimi tempi, il giovane avrebbe inoltre meditato di rientrare in patria già nel 2019. A un amico avrebbe manifestato la sua apprensione e alla famiglia avrebbe detto di essersi “ficcato in un guaio”. Alcuni contrasti con i vertici della missione a cui collaborava farebbero da sfondo a una storia che, secondo i suoi cari, sarebbe ancora tutta da scrivere e non ricalcherebbe affatto il contorno di un suicidio.