Fa accapponare la pelle la storia di Marisa Sartori, la ragazza di 25 anni uccisa il 2 febbraio del 2019 dal marito Ezzedine Arjoun, tunisino, dal quale era in procinto di separarsi. Una vicenda che diventa ancora più dolorosa se a raccontarla è la sorella Deborha, che nell’agguato avvenuto nei garage della casa dei loro genitori, dove Marisa si era trasferita decisa a recidere i rapporti con l’uomo, ha rischiato di morire a sua volta. Intervistata da “Sette”, l’inserto del Corriere della Sera, Deborha ricorda quei terribili istanti: “Di solito scendevo io dall’auto ad aprire il cancello. Invece quella sera lo ha fatto Marisa. Dopo la curva della rampa, l’ho sentita urlare, ha urlato con tutta la voce che aveva in corpo. Ho tirato il freno a mano, sono scesa. Non riuscivo a vedere Mari, ma ho visto lui che la colpiva“. Deborha mima il gesto delle coltellate dall’alto verso il basso: “Mi sono avvicinata e ha preso anche me, dal basso verso l’alto, tre volte. Poi è andato via e io ho detto: “Tranquilla, Mari, chiamo i soccorsi”. Sono corsa a prendere il telefono e sono andata all’ascensore, ma non era al piano e ho pensato che ci avrei messo troppo. Allora sono salita per le scale. Mio papà era già uscito sul pianerottolo. Gli ho detto di correre giù“.



Marisa Sartori, uccisa dal marito da cui voleva separarsi

Quello che segue è un racconto altrettanto angoscioso. Ferita al polmone sinistro, alla milza e al diaframma, sul pianerottolo Deborha non ha più retto. “Ho iniziato ad avere caldo, un caldo atroce. Se parlavo senza tenermi la ferita, sentivo come il polmone sfiatare. Ricordo che in ambulanza mi dicevano di restare sveglia. Ricordo quando mi hanno addormentato e poi la voce di un’infermiera sussurrare: “Si sta svegliando”. Vicino al letto c’erano mia mamma, mio papà e il mio ragazzo, e io lo sapevo già. Ho chiesto: “La Mari è morta, vero?”“. Così come per tante altre storie di femminicidio, anche quella di Marisa Sartori avrebbe potuto avere un altro epilogo se i segnali di pericolo fossero stati colti per tempo dalle autorità. L’assassino, che oggi ha 38 anni e a Opera sta scontando l’ergastolo dopo che la Cassazione ha reso definitiva la condanna per l’omicidio della moglie, ad aprile 2018 – racconta Deborha – “aveva spaccato il naso al suo padrone di casa, poi aveva sfondato la porta dei miei. Alla fine, si era presentato dal mio ragazzo, dove Marisa si era rifugiata. Lo sentivamo urlare: “Marisa ti ammazzo, so che sei qui”. Noi eravamo barricate dentro, terrorizzate. (…) Il giorno prima del mio compleanno, a fine 2018, l’aveva seguita al centro commerciale. In mezzo alla gente, ubriaco, si era messo a urlare: “Sei una puttana”. Marisa me lo confidò piangendo, perché nessuno si era degnato di aiutarla, si era sentita umiliata“. Il bilancio di Deborha non può che essere amaro, ma capace di vedere – per quanto possibile – il bicchiere mezzo pieno nonostante la tragedia che ha investito la sua famiglia: “Ogni tanto mi sembra che Marisa sia dappertutto, in un fiore o in una farfalla, altre volte mi dico che non c’è più. I miei genitori portano dentro, in modo diverso, lo stesso dolore. Mio papà l’ha presa tra le braccia morta, non la supererà mai questa cosa. Con mia mamma erano tanto legate. Però la cosa bella è che tra noi siamo più uniti: siamo anche tornati al mare, dove andavamo da piccole. E ora sulla violenza di genere c’è molta più informazione“.

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