Chi è Marisa Garofalo?

Per il Tribunale civile Marisa la sorella di Lea Garofalo, uccisa il 24 novembre 2009 dall’ex compagno, Carlo Cosco, ha diritto a 120mila euro di risarcimento. La donna, però, di questo pronunciamento si è fatta finora ben poco: sì, perché l’assassino di Lea risulta nullatenente, e dal Fondo di rotazione del ministero dell’Interno per la solidarietà alle vittime di mafia le è stato risposto picche in ragione della sua parentela. Di fatto a Marisa Garofalo viene imputato di non aver reciso i legami con la sua famiglia d’origine, rientrante nell’orbita della ‘ndrangheta. Come riportato da Il Corriere della Sera, la storia di Lea Garofalo è quella di una donna che decise di sottrarsi alle trame oscure di una famiglia criminale. Lea Garofalo maturò anche la decisione di lasciare il compagno violento dopo il suo arresto, avvenuto nel 1996. Scelse così di diventare testimone di giustizia per garantire alla figlia Dense un futuro migliore, ma un percorso a dir poco complicato, che la portò ad entrare e ad uscire dal programma di protezione, contribuì a farle commettere l’errore fatale: quello che la portò a riallacciare per breve tempo i contatti con Cosco, l’uomo che il 24 novembre l’attirò in una trappola mortale.



Marisa Garofalo, sorella di Lea Garofalo: risarcita ma il Viminale non le dà i 120mila euro

Nel 2014 la Cassazione ha confermato quattro ergastoli (tra cui quello per Carlo Cosco) e una condanna a 25 anni per l’omicidio di Lea Garofalo. A questo pronunciamento si aggiunge quello inerente il risarcimento dei danni non patrimoniali, emesso dal giudice della X sezione civile del Tribunale, Marco Luigi Quatrida, secondo cui Marisa Garofalo ha diritto complessivamente a 120.000 euro. Come spiegato da Il Corriere della Sera, Marisa Garofalo tornerà a farsi sentire col Fondo di rotazione del Viminale, ma dal ministero le è stato già opposto un doppio rifiuto rispetto ai 50.000 euro dell’iniziale provvisionale in sede penale e ai 44.00 euro di spese di giudizio. Il motivo? Eccolo: “Per la stretta contiguità della sua famiglia originaria alla criminalità organizzata di Petilia Policastro nella quale ha continuato a vivere”. Di fatto, secondo il Viminale, Marisa Garofalo, prima dell’uccisione della sorella, “non ha mai manifestato il proposito di volersi affrancare dall’entourage familiare ‘ndranghetista, e la condotta dissociativa con la costituzione di parte civile si è manifestata solo successivamente al tragico evento”.



Prova ne sarebbe il fatto che anni fa Marisa Garofalo si sia all’epoca rivolta ad un ‘ndranghetista della «locale» di Petilia Policastro per facilitare il rientro in loco di Lea. Questo episodio, ribatte l’avvocato Roberto D’Ippolito, oltre ad “essere estrapolato da una intercettazione” tra due mafiosi “di cui si ignora l’esatto contenuto”, dovrebbe essere comunque inquadrato al netto della “profonda condizione di sudditanza e intimidazione tanto di Lea quanto di Marisa nei confronti di Cosco” nella fase in cui Lea “aveva la sostanziale sensazione del fallimento del programma di protezione”. Anche perché, sottolinea ancora il legale, “Marisa è incensurata, svolge un regolare lavoro, non si ha notizia di sue frequentazioni con pregiudicati, e anzi profonde instancabile impegno per onorare la memoria della sorella e ostracizzare la ‘ndrangheta”.

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