LO SFOGO DI ALBERTO, IL MARITO DI MARTA MORTA PER SUICIDIO ASSISTITO IN SVIZZERA

«È sparita senza dirci nulla, avrei potuto aiutarla»: non si dà pace Alberto, imprenditore e ingegnere 53enne originario di Torino, marito della donna che lo scorso 12 ottobre è fuggita in Svizzera per il suicidio assistito senza dire nulla a famiglia e amici. Era sotto forte crisi depressiva per la morte un anno fa del figlio adolescente (dopo una lunga malattia) ma la cosa che fa impressione è quanto il marito di Marta racconta oggi a “La Repubblica” dopo che sono emerse le prime testimonianze sulla drammatica vicenda nella clinica pro-eutanasia di Basilea. Marta è morta senza che fino ad un’ora prima del suicidio assistito non fosse avvisato nessuno, neanche dopo che qualche mese prima la stessa famiglia era riuscita a convincere la donna a desistere dall’idea della “dolce morte” per provare a farsi curare la depressione e ripartire con la vita, gli amici e il lavoro.



«Non sopportava di vivere senza nostro figlio, e che l’amore per me, per quanto grande, non le era sufficiente a sostenere il dolore che provava», racconta l’uomo incredulo e sotto choc dopo aver saputo della morte della moglie solo via mail e tra l’altro pure in “spam” per un disguido tecnico. «Si era rivolta a uno specialista, aveva contemplato la possibilità di frequentare “La stanza del figlio” un’associazione per il sostegno dei genitori che hanno perso i figli. Noi due ci sentivamo tutti i giorni per telefono, mi rassicurava che tutto stesse andando bene, la vedevo molto impegnata nel lavoro. Li coglievo come segnali positivi», spiega Alberto che negli ultimi anni si era dovuto trasferire diversi periodi dell’anno in Canada per lavoro. L’umore di Marta era provato ma non depresso, usciva e provava a ricominciare con la vita di tutti i giorni: «Tre giorni prima che mancasse. Per due o tre giorni non ha risposto ai miei WhatsApp, ma sapevo che era molto impegnata nel lavoro, avevo ricevuto notizie positive dai colleghi sul fatto che fosse lanciata in un nuovo progetto».



“POTEVO AIUTARLA, LA SVIZZERA HA TACIUTO”: LA DENUNCIA DEL MARITO

A “La Repubblica” il marito di Marta racconta poi di aver sentito fino a due giorni prima un collega che le era molto accanto e che non sospettava nulla di quella fuga già probabilmente premeditata da tempo: «a cose fatte ho potuto ricostruire che un’ora prima della morte avevo ricevuto una sua e-mail di commiato da un indirizzo di posta elettronica che non era il suo, per questo era finita in spam», spiega l’imprenditore. Solo le autorità italiane sono riusciti a far mettere in contatto Alberto con la clinica e le pompe funebri ma non gli è stato consentito di vedere il corpo.



«Nessuno che io conosca ha fatto il riconoscimento prima della cremazione. Tanto che alcuni parenti non riuscivano a credere che fosse andata cosi», racconta con amarezza il marito affranto per aver perso una moglie senza che nessuno dalla clinica, pur sapendo dei precedenti, lo avvisasse prima. «Marta ha lasciato il pc e il telefono a casa, scrivendo da numeri e indirizzi non suoi. Non sapremo mai se è stata una sua scelta autonoma o se è stata frutto di una indicazione della associazione per evitare che fosse rintracciata e quindi indotta a ripensarci all’ultimo momento», denuncia Alberto che pure non si sarebbe opposto all’eventualità del suicidio assistito, «Pur nel grande dolore, io non sono contrario alla libertà di autodeterminazione delle persone, non mi sarei opposto alla decisione di mia moglie di morire se avessi avuto la certezza che questa fosse stata davvero ponderata e sedimentata». Avrebbe però potuta aiutarla, conclude l’uomo affranto, per provare ad uscire insieme da quel gravissimo lutto che li aveva colpiti appena pochi mesi fa.