Nessuna festa d’addio, questa volta sarà una partenza senza ritorno. Mark Fleischman, re delle feste newyorkesi negli anni ’80 e tra i proprietari di Studio 54, ha deciso di porre fine alla propria vita in Svizzera. Suicidio assistito, o “via d’uscita gentile”, come la chiamava lui, per mettere la parola “fine” ad anni di sofferenza. La sua malattia? Un male neurologico mai diagnosticato con precisione, che però negli ultimi anni gli aveva impedito di camminare e di parlare chiaramente.
Mark Fleischman è a morto a Zurigo a 82 anni. Qualche tempo fa aveva raccontato: “Mia moglie è costretta a aiutarmi ad andare a letto, non riesco a vestirmi né a mettermi le scarpe, la mia capacità di parlare ormai è fottuta”. L’imprenditore è stato uno dei giganti della vita notturna anni ‘80 delle star di Hollywood. Nel 1980 il via allo Studio 54: lo ha comprato dai fondatori poi finiti in carcere per redditi non dichiarati. Lo riaprì poi nel settembre 1981, dando il via ad un periodo ricco di feste e divertimento.
Chi era Mark Fleischman
La sera della riapertura dello Studio 54, c’erano diecimila persone in coda davanti all’ingresso, ricorda il Corriere. La discoteca, situata nella 254 West 54esima strada, era tornata ad essere al centro della vita delle star statunitensi, tanto che la polizia dovette mettere le transenne e chiudere la via al traffico. Restarono addirittura fuori la vincitrice dell’Oscar Mary Tyler Moore insieme ad altre celebrità, e John Belushi e Jack Nicholson riuscirono ad entrare solamente dal retro.
Mark Fleischman continuò a organizzare feste nello Studio 54, diventando un punto di riferimento per la movida newyorkese.
Qualche tempo dopo, scrisse: “Lo Studio 54 ha quasi distrutto anche me. Avrei potuto tornare a casa alle quattro o alle cinque del mattino, quando chiudevamo le porte del club, ma non l’ho mai fatto. Notte dopo notte, saltavo sulla mia limousine e andavo nei club after-hour, oppure restavo allo Studio 54 a cazzeggiare con la folla dei Vip clienti abituali, gli attori, e gli immancabili galoppini da mandare in cerca di cocaina. Scorrevano torrenziali i litri di drink offerti dalla casa, e tenevo sempre da parte un assortimento di droghe per compiacere i miei ospiti. E allora ci sedevamo nel mio ufficio a chiacchierare delle nostre vite. Poi, verso le nove, strofinandoci gli occhi, uscivamo dallo spazio buio della discoteca per entrare nella luce abbagliante del mattino. E mentre le persone normali correvano su e giù per Broadway dirette al lavoro, io tornavo finalmente a casa”.