Lo scandalo Qatargate, su cui la procura federale belga sta facendo luce con un’inchiesta che sta smascherando la rete di corruzione dentro e attorno il Parlamento europeo, non stupisce Mohamed Dihani. L’attivista sahrawi e difensore dei diritti umani è reduce da una lunga battaglia legale, combattuta con l’aiuto di Amnesty International, ed è riuscito ad arrivare in Italia per chiedere la protezione internazionale. Il tribunale di Roma ha disposto che la Farnesina, tramite l’ambasciata a Tunisi, gli rilasciasse subito il visto per consentirgli di arrivare in Italia, visto che gli era stato negato perché nel 2010 era stato inserito nella banca dati del Sistema di informazione Schengen (Sis) come presunto terrorista che avrebbe pianificato attentati in Italia, al Vaticano e in Danimarca. Eppure, il dissidente marocchino non era mai stato accusato di questi reati.



Il giudice civile aveva chiesto le ragioni di tale segnalazione al ministero degli Interni, che aveva risposto facendo riferimento ad una «corrispondenza qualificata come riservata». Una motivazione che non si può opporre all’autorità giudiziaria, per la quale vale solo il segreto di Stato. Mohamed Dihani non esclude possa essere stata l’intelligence del Marocco ad accusarlo di terrorismo. Quegli stessi 007 che lo volevano come spia in Italia. «Sono stato rapito, torturato e tenuto in un carcere segreto dell’intelligence marocchina. A un certo punto mi hanno anche offerto dei soldi per lavorare con loro dall’Italia. Io ho rifiutato e allora mi hanno lasciato 7 mesi in una prigione sotto terra. Grazie alla giustizia italiana, però, sono riuscito a tornare qui», ha raccontato l’attivista al Messaggero.



“500 AGENTI INFILTRATI IN UE, MIGRANTI USATI PER RICATTO…”

«La domanda inquietante è: come fa il Marocco ad avere relazioni con chi gestisce il Sis. Riescono a convincere gli Stati europei a inserire o disinserire le persone nella black-list Schengen», ha proseguito il dissidente marocchino Mohamed Dihani. Nell’intervista al Messaggero prova a rendere l’idea di quanto siano potenti gli 007 del Marocco. «È ovunque, noi Sarhawi lo chiamiamo il “polpo serpente”. Il direttore dei servizi segreti marocchini è venuto in Italia più di una volta per parlare di sospetti terroristi, ma so che in ballo c’era di più». L’attivista aveva chiesto al nostro Paese di controllare i viaggi sospetti fatti dal 2010 al 2016 in Marocco dai parlamentari italiani, eurodeputati italiani, associazioni e istituti di ricerca che non volevano ascoltare le voci sarhawi, ma ascoltavano solo quelle filogovernative. «Ufficialmente venivano per motivi di turismo, ma erano viaggi spesati».



Nell’intervista ha citato anche lo spyware Pegaus, usato per ricattare Europa e resto del mondo. E poi ci sono i migranti usati come arma di ricatto: «Se per esempio il ministro degli Esteri spagnolo dice di voler sostenere la causa del popolo sahrawi, il Marocco apre le frontiere in massa e i migranti si riversano sulle coste spagnole. C’è un bosco vicino alla città di Nadur dove tengono recluse decine di migliaia di migranti in condizioni terribili, li utilizzano anche nel trasporto della droga in Europa». Infine, Mohamed Dihani ha spiegato che per il Marocco è fondamentale controllare il Sahara Occidentale, perché è una terra piena di risorse e la via più sicura tra Europa e Africa. «Rabat non può sopravvivere con il Sahara occidentale indipendente, per questo è disposto a corrompere tutti».