Una decina di giorni fa è uscito – da tempo atteso – il nuovo album di Marracash, rapper di Milano-Barona e punto di riferimento indiscutibile del genere. A poco più di dieci giorni di distanza, l’album è già disco d’oro. E in ventiquattr’ore dall’annuncio del tour i biglietti per la data milanese del 3 aprile erano già esauriti, tanto da aprire una seconda data il giorno successivo, 4 aprile 2020. Ecco, potremmo già chiudere l’articolo qui, questa è già di per sé una notizia. Ci potremmo aggiungere il passaggio come ospite da X Factor e un paio fra le interviste di questi giorni (quella a 105  e quella un po’ più ‘spessa’ a Noisey ) e la cronaca sarebbe già quasi completa, lasciando il resto del lavoro al lettore che abbia voglia di approfondire di più. Ma non posso non aggiungere alcune considerazioni, un punto di vista, diciamo, personale. E non a caso uso questo termine, perché proprio così si intitola l’album di Fabio Bartolo Rizzo, in arte Marracash: “Persona”. Non sono un cultore del genere, pur documentandomi ed ascoltando dei rap di quando in quando, un po’ per lavoro ed un po’ perché qualche funambolica evoluzione testuale mi colpisce molto. Normalmente è a mio figlio che chiedo lumi su artisti o brani particolarmente riusciti, e quando a mezzanotte del 31 ottobre lui si è divorato tutto d’un fiato questo nuovo lavoro di Marra, mi sono dovuto chiedere che cosa c’è là dentro che attira così tanto e fa dire a lui ed a molti che questo album è una bomba. Ho voluto fare (fatte le debite proporzioni) un’esperienza simile a quella che fece il grande scrittore David Foster Wallace quando, studiando ad Harvard e vivendo quindi a Boston, in quella città assisteva all’esplosione del rap e si chiedeva cosa in quella strana espressione musicale producesse in lui un così grande fascino. Tutto ciò è raccontato alla sua maniera nel libro – tradotto in italiano – Il rap spiegato ai bianchi. Beh, torniamo a noi: qualche giorno dopo ho ripetuto l’esperienza, pure io verso mezzanotte, cuffia in testa e via i brani uno dopo l’altro. Non voglio (e onestamente non posso) addentrarmi in analisi troppo specifiche. Quello che posso dire è che questo lavoro mi ha colpito, è davvero personale, parla di una serie di tematiche in modo pressante, urgente, tiene incollato chi ascolta. Il suono è possente, le produzioni diverse, ma tutte ben curate. Il verso è serrato, le rime funzionano e si capisce (meglio, si intuisce) perché questi pezzi diventino la colonna sonora, o ancora di più verbale, di molti ragazzi che li imparano a memoria. L’album è un concept e ad ogni pezzo è associata una parte del corpo ed in qualche modo un feeling, un tema, una connotazione. Molte le collaborazioni (ignorante, si dice featuring), da Mahmood a Sferaebbasta, dalla 17enne Madame a Massimo Pericolo, da Tha Supreme a Coez, e poi Gué Pequeno, Luché e Cosmo, e per non far torto a nessuno li abbiamo citati tutti. Ogni featuring  si porta dietro sicuramente una fetta di fans, ma anche un suono, un carattere e una produzione, che connota diversamente i vari brani.



TESTI “PERSONALI”

La vera forza di tutto il lavoro – o almeno l’aspetto che mi colpisce di più – è l’efficacia dei testi e come cadono sulle rime, sulla metrica, tanto che citarli senza sentirli scanditi funziona un filo meno. In ogni caso, troviamo la riflessione esistenziale di Qualcosa in cui credere – Lo scheletro (feat. Gué): “Momenti che era brutto, in cui avrei pregato qualsiasi Dio/Da dove vengo tutto è truffa, e se fossi una truffa anch’io?”. L’attacco a chi non  usa il cervello in Quelli che non pensano – Il cervello, modulata sulla stessa base del celeberrimo pezzo di Frankie Hi-Nrg Quelli che benpensano, in cui la ‘romanità’ del feat. di Coez fa le veci del ritornello di Riccardo Sinigallia nell’originale old school: “Oh, algoritmo che seineiserver/Manda il miopezzo nella Top 10 e ilmio video nelle tendenze” e poi “Il senso è nascosto così bene che non c’è/Non avrai altro brand al di fuori di me”. I brani sono 15 e non si possono citare tutti, una menzione solo per Tutto questo niente – Gli occhi, brano senza ospiti che tratta del desiderio, la voglia sempre di qualcosa di più che fatica a trovare soddisfazione piena: “Desideriamo quello che vediamo/E a volte desideriamo solo di essere visti/Pensiamo che quello che ci serva sia fuori da noi/Mentre quello di cui abbiamo davvero bisogno è invisibile” e nel ritornello: “Un giorno tutto questo niente sarà tuo/Tutto questo niente sarà tuo/Cento cose, mi tengo in moto/Riempio il tempo e non colmo il vuoto”.



Intendiamoci: siamo interamente dentro il genere, e per cercare di capirne la forza bisogna fare lo sforzo di immergersi anche se non è il proprio contesto preferito. E inoltre sono presenti anche tutti i luoghi comuni e le espressioni gergali della scena: per capire, tutti i brani sono marchiati come “explicit”, il linguaggio non è da educande e i riferimenti a sesso e droga non mancano, diciamo che fanno parte del gioco. Al tempo stesso, tuttavia, ci sono anche molte immagini estremamente riuscite e lo sguardo sulla vita di un caposcuola, che a 40 anni suonati ha sfornato un lavoro di grande spessore, ricchezza sonora e profondità. Vale la pena provare ad entrarci per chi vuol capire da dove viene il fascino che provano molti fan e ascoltatori. Per poi vagliare, trattenere, scartare. Ma per poter giudicare occorre conoscere. E magari decidere di fare l’altra esperienza: vedere cosa accade quando quei pezzi sono riportati dal vivo, nei live cui si potrà assistere prima e dopo Pasqua 2020.



3 aprile – Milano, Mediolanum Forum
4 aprile – Milano, Mediolanum Forum NUOVA DATA
6 aprile – Roma, Atlantico
9 aprile – Napoli, Palapartenope
16 aprile – Firenze, TuscanyHall (ex Obihall)
21 aprile – Venaria Reale (TO), Teatro della Concordia