Nessuna sete di vendetta, ma sete di chiarezza e di reale possibilità di conciliazione: così Marta Cartabia ai microfoni di Repubblica dopo l’arresto dei terroristi in Francia. «Non ci può essere riconciliazione senza verità», il giudizio del ministro della Giustizia: «Per la prima volta, la richiesta italiana di estradizione è stata riportata nell’alveo corretto dell’amministrazione della giustizia. Ossia, dopo quasi 40 anni, la Francia ha compreso appieno quale ferita abbia subito l’Italia negli anni di piombo e per la prima volta ha rimosso gli ostacoli politici, legati alla dottrina Mitterand, trasmettendo le domande di estradizione alle autorità giudiziarie, affinché la giustizia segua il proprio corso».



Marta Cartabia ha poi spiegato che gli arresti sono funzionali ad evitare il pericolo di fuga degli ex brigatisti ed è attesa la convalida di eventuali misure cautelari da parte dei giudici. La titolare della Giustizia ha poi evidenziato che successivamente inizieranno i procedimenti per valutare caso per caso la sussistenza dei presupposti per la concessione dell’estrazione: «La Francia, con questo passo storico, conferma la sua fiducia verso le istituzioni italiane e prende atto della correttezza delle procedure giudiziarie seguite, fino alle condanne definitive per i reati, commessi negli anni di piombo».



MARTA CARTABIA: “LA SVOLTA CON DUPONT-MORETTI”

Nel corso del suo lungo intervento a Repubblica, Marta Cartabia ha rimarcato che le prime richieste di estradizione risalgono alla fine della stagione degli anni di piombo, tema che si è riproposto nel 2002 e poi nel 2020 con  Bonafede. Decisivo il colloquio con il ministro Dupont-Moretti«ha espresso una chiara determinazione a volersi impegnare in prima persona per chiudere questo politico» – e il confronto tra Draghi e Macron: «É fondamentale non permettere che una pagina così lacerante della storia italiana resti irrisolta, non chiarita. Qualunque processo di riconciliazione personale e sociale, individuale e storica, dopo ferite particolarmente dolorose, non può non partire dal riconoscimento di ciò che è accaduto, in forma pubblica e – come direbbe Ricoeur – attraverso “una parola di giustizia”. Non a caso, il primo e più clamoroso esempio di riconciliazione è quello del Sud Africa: dopo l’Apartheid è stata costituita una commissione denominata “verità e riconciliazione”. La seconda non può realizzarsi a prescindere dalla prima».

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