Nella quinta puntata di “Le ragazze“, il programma condotto da Francesca Fialdini su Rai 3, verrà ripercorsa la vicenda dell’omicidio di Marta Russo, la studentessa di Giurisprudenza uccisa 26 anni fa mentre si trovava all’Università La Sapienza di Roma. In studio Tiziana Russo, sorella della vittima: è riuscita ad elaborare il lutto seguendo un percorso lungo e doloroso. Dopo aver ripreso gli studi, ha conosciuto quello che sarebbe diventato suo marito e si è laureata, realizzando il sogno che condivideva con la sorella, che voleva fare l’avvocato, forse il magistrato. Il 9 maggio 1997, infatti, Marta Russo percorreva con un’amica, Jolanda Ricci, un vialetto tra le facoltà di Statistica e Giurisprudenza, aveva due lezioni da seguire, Diritto Costituzionale e Storia Economica.



All’improvviso un colpo di pistola, poi Marta a terra. Così inizia una delle vicende giudiziarie più controverse d’Italia, per la quale neppure cinque sentenze sono riuscite a fugare ogni dubbio. A chiamare i soccorsi fu un amico, poi la corsa in codice rosso al Policlinico Umberto I, in condizioni disperate. Nessuno capiva che era stata colpita da un proiettile, poi la Tac lo trovò appena dietro l’orecchio sinistro, frammentato in undici parti, causando danni irreversibili. Dopo cinque giorni strazianti per la famiglia di Marta Russo, decise di donare gli organi, assecondando la volontà espressa anni prima dalla ragazza.

OMICIDIO MARTA RUSSO, LA VICENDA GIUDIZIARIA

L’omicidio di Marta Russo è un caso giudiziario che non ha precedenti, forse per il luogo e per le circostanze assurde. Per gli inquirenti fu complicato arrivare ad un movente. Si parlò di scambio di persona, di terrorismo perché avvenne nel giorno dell’anniversario dell’uccisione di Aldo Moro, di uno sparo accidentale, poi di delitto perfetto per il quale nel 2003, sulla base di una testimonianza controversa, fu condannato in via definitiva per omicidio colposo l’assistente universitario di Filosofia del Diritto Giovanni Scattone, insieme ad un collega, Salvatore Ferraro, inizialmente per favoreggiamento. Colposo perché Scattone non avrebbe potuto esplodere un colpo mirato verso Marta Russo dalla posizione in cui si sarebbe trovato. Poi causa dell’atteggiamento dei due pm, ritenuto eccessivamente inquisitorio, fu aperto un breve procedimento per abuso d’ufficio e violenza privata. La Cassazione nel 2003 condannò Scattone a 5 anni e quattro mesi, Ferraro a 4 anni e due mesi, eliminando per entrambi il reato di detenzione illegale di arma perché non era possibile determinarne la provenienza e riducendo le condanne della Corte d’Appello. Le perizie furono annullate, dunque la sentenza si basa solo sulle testimonianze di Gabriella Alletto e Maria Chiara Lipari, secondo cui Scattone e Ferraro erano nell’aula da cui sarebbe partito il colpo fatale. L’arma non fu mai trovata, inoltre la testimonianza di Alletto era controversa. La segretaria amministrativa venne interrogata come testimone, ma le venne impedito di nominare subito un legale. Una condotta “gravissima” secondo il giudizio dell’allora premier Romano Prodi, in quanto quasi al limite della minaccia. Peraltro, Alletto fu interrogata circa 13 volte in tre giorni e subì non lievi pressioni psicologiche, come emerso in un audio raccolto dai cronisti di Radio Radicale, relativo ad un’intercettazione ambientale in cui ripeteva: “Non sono mai entrata in quell’aula […] Io nun ce stavo là dentro, te lo giuro sulla testa dei miei figli… Non ci sono proprio entrata, ma come te lo devo dì? Fino allo sfinimento“.

OMICIDIO MARTA RUSSO, I DUBBI IRRISOLTI

Dubbi sono emersi anche sulla testimonianza di Lipari, che chiamò il padre e disse di aver trovato la stanza vuota, salvo poi dichiarare di ricordare altro dopo pressioni, tirando in ballo la presenza di una donna e di un uomo. Ricordi che però la stessa definì “subliminali“. Nella sentenza della Cassazione si conclude che “si sa che Giovanni Scattone ha sparato, ma non si sa né perché né come“. Dunque, manca un movente accertato. Non a caso lo scrittore Mauro Valentini, autore del libro ‘Marta Russo, il mistero della Sapienza‘ al Fatto Quotidiano ha definito il processo “l‘atto giudiziario più controverso, credo, della nostra storia“. Ha fatto riferimento, infatti, ad un “intreccio di perizie che sconfessavano la ricostruzione degli inquirenti e tre testimonianze, raccolte con singolari dichiarazione spontanee. Di dubbi ce ne furono tanti. Troppi“. Dal luogo dello sparo, “assolutamente improbabile per posizione e ubicazione“, ad alcuni soggetti interni all’università “che maneggiavano armi all’interno dei locali della Sapienza e che per loro stessa ammissione erano avvezzi a giocare con le armi“. Valentini ha evidenziato anche il fatto che “Scattone e Ferraro non furono visti da nessuno delle centinaia di studenti quel giorno, ma soltanto e con un ritorno di memoria dopo mesi dalle tre testimoni chiave. Che ricordarono cose che non convergeranno mai tra loro“. Infine, per lo scrittore è incredibile che chi era incaricato di fare le pulizie al bagno di Statistica quel giorno, “due anni dopo farà parte del gruppo ritenuto responsabile dell’omicidio del professor D’Antona“.