La puntata di questa sera di ‘Linea di confine‘ – sempre su Rai 2 a partire dalle ore 23:35 – si concentrerà interamente sul caso di Marta Russo che ancora oggi lascia aperti numerosi interrogativi anche se è tra quelli che hanno effettivamente un colpevole (o meglio, due) condannato in tutti e tre i gradi di giudizio, ma senza che mai sia stata trovata l’arma usata per uccidere la ragazza o un movente credibile che potesse spiegare il delitto; il tutto – nel pienissimo stile italiano quando si parla di casi estremamente mediatici come fu quello di Marta Russo – condito da illazioni, speculazioni e notizie più o meno vere.
Partendo dal principio, è bene ricordare che il caso di Marta Russo risale al maggio del 1997 quando in una qualsiasi tarda mattinata universitaria la ragazza si accasciò improvvisamente a terra in una pozza di sangue mentre percorreva il viale principale della Sapienza di Roma assieme all’amica Jolanda Ricci: in un secondo momento si scoprì che Marta Russo era stata raggiunta da un proiettile calibro 22 – composto di solo piombo, dettaglio che tornerà utile più tardi – che nel suo cranio si fratturò in 11 frammenti; già da subito parve in condizioni critiche e più tardi venne dichiarata morta cerebralmente e staccata dai supporti vitali cinque giorni più tardi.
Le indagini sulla morte di Marta Russo: la tesi del ‘delitto perfetto’ e i due colpevoli condannati senza prove
Le indagini sulla morte di Marta Russo si concentrarono subito sulla sua cerchia più stretta, ma non si riuscì a risalire a nulla di concreto e vennero vagliate tutte le possibili – ed anche quelle impossibili – piste puntando in particolare sul terrorismo; ma la svolta si ebbe solamente qualche giorno più tardi quando sulla finestra della stanza 6 della facoltà di Giurisprudenza si trovarono tracce di bario ed antimonio che vennero ritenute compatibili con uno sparo e da lì si arrivò – grazie ad una testimonianza da parte di una dottoranda – alle figure di Gabriella Alletto e Francesco Liparota.
Fu proprio Alletto a permettere una svolta nelle indagini sulla morte di Marta Russo dopo ben 13 interrogatori dei quali l’ultimo fu particolarmente violento – tanto da essere oggetto di un’interrogazione parlamentare – e portò ai nomi di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro: secondo Alletto i due quel giorno stavano maneggiando una pistola nera che esplose il colpo fatale per Marta Russo; con una tesi che fu avvalorata da alcune testimonianze (poi smentite) che parlavano di come i due assistenti avessero appena tenuto una lezione in cui parlarono della teoria del ‘delitto perfetto’, quasi a lasciar intendere che quello fosse un tentativo di inscenarlo.
La tesi piacque – specialmente ai media sempre più assetati di una risposta e di un colpevole – e nonostante la tesi del ‘delitto perfetto’ fu smentita, nonostante le tracce sulla finestra non fossero compatibili con il proiettile nel cranio di Marta Russo, nonostante – addirittura – l’arma non sia mai stata trovata, i due si siamo sempre professati innocenti e non ci fosse un movente reale vennero condannati per omicidio colposo e favoreggiamento personale: la sentenza definitiva fu emessa nel 2003 e ad oggi entrambi sono tornati in libertà, continuando a professarsi completamente innocenti.