Da Samuele Lorenzi di Cogne a Elena Del Pozzo di Mascalucia. Sono passati vent’anni da quel terribile caso che sconvolse l’Italia, il delitto di Cogne, ed eccone un altro a scuotere l’opinione pubblica. Purtroppo non è passato solo tempo, perché in questi ultimi vent’anni sono 480 i bambini morti, uccisi dai genitori. Ma per sei volte su dieci sono le mamme che uccidono i figli, le carnefici. Delitti inspiegabili, atroci non solo per le modalità, ma per quel legame che lega le madri ai figli e che riteniamo per eccellenza indissolubile. È come se un filo comune legasse tutti questi infanticidi, problemi di salute mentale e relazione, ma è ancora presto per stabilirlo nel caso di Martina Pattila giovane mamma della piccola Elena. Lei ha confessato l’omicidio della figlia di 4 anni senza spiegarne il motivo, invece Annamaria Franzoni ha sempre negato di aver ucciso il figlio Samuele. Alle ore 08:28 del 30 gennaio 2002 al centralino del 118 della Valle D’Aosta arrivò una chiamata dalla donna: chiedeva i soccorsi sanitari perché il figlio di tre anni vomitava sangue nel proprio letto.



Il medico di famiglia, intervenuto sul posto per primo, ipotizzò una causa naturale, aneurisma cerebrale, affermando che il pianto disperato del bambino avrebbe potuto provocare «l’apertura della testa». C’era, infatti, una profonda ferita al capo ed era fuoriuscita materia grigia. Per i soccorritori invece le ferite erano frutto di un atto violento, quindi allertarono i carabinieri. L’autopsia stabilì che era morto in seguito ai 17 colpi sferrati con un corpo contundente. Furono trovate anche microtracce di rame e lievi ferite sulle mani, come se avesse tentato di difendersi. L’arma del delitto fu forse una roncola, ma non fu mai trovata. Nonostante la condanna definitiva, Annamaria Franzoni ha sempre negato l’omicidio del figlio. E dal settembre 2018 è definitivamente libera.



LORETTA ZEN CINQUE MESI DOPO IL DELITTO DI COGNE

Ma il 2002 fu l’anno di un altro terribile omicidio, quello della piccola Vittoria. Aveva solo 8 mesi. La madre, Loretta Zen di Santa Caterina Valfurva, il 12 maggio la mise nel cestello della lavatrice insieme ai panni sporchi e attivò il lavaggio, uccidendola. Il padre, tornato a casa con l’altra figlia di 11 anni, fece la terribile scoperta. Il caso fece grande sensazione a causa anche della prossimità con l’omicidio del piccolo Samuele. Erano passati, infatti, solo cinque mesi. Un anno e mezzo dopo, al termine del processo con rito abbreviato, fu ritenuta non imputabile dal giudice delle udienze preliminari del tribunale di Sondrio, perché incapace di intendere e volere. Nel 2005 l’orrore arrivò da Merano. Christine Rainer uccise il figlio di 4 anni, Julian, a coltellate. Nove, in rapida successione, a cuore, torace, collo e sotto la nuca. In pochi secondi il bambino non c’era più. Poi pulì il corpo e lo rivestì con una maglietta nuova. I soccorritori lo trovarono supino, in cucina, tra il lavello e la porta del balcone, con le gambe leggermente divaricate e il capo reclinato. La vicenda fece scalpore anche per il tentato suicidio in commissariato. Un caso simile nel 2013, a Carovigno. Francesca Sbano, 29 anni, avvelenò la figlioletta di 3 anni con un diserbante. La piccola, però, presentava anche ecchimosi al collo, forse segni di un tentativo di strangolamento. Prima di portare a termine il suo piano omicida, la mamma scrisse cinque lettere, ai suoi genitori, ai suoceri e al marito, con cui i litigi erano diventati sempre più violenti. Dopo il terribile delitto si lanciò dal balcone. Non morì sul colpo, ma il giorno dopo.



VERONICA PANARELLO E IL CASO LORIS

L’ultimo caso, come Martina Patti, di mamme che uccidono i propri figli e che ha sconvolto l’Italia è quello di Veronica Panarello. Nel 2014 a Santa Croce Camerina (Ragusa) venne trovato in un canalone il cadavere di Loris Stival, di cui la madre aveva denunciato la scomparsa alcune ore prima. La donna, che lanciò una serie di false accuse lanciate anche nei confronti del suocero, ha cambiato spesso versione. Inizialmente si dichiarò del tutto estranea, poi parlò di un capriccio del bambino per il quale avrebbe reagito male, ritrattando con una nuova versione secondo cui sarebbe stato il bambino a strangolarsi senza accorgersene, quindi dopo aver trovato il corpo senza vita, se ne sarebbe liberata temendo la reazione del marito. Versioni ritenute inverosimili: le indagini hanno accertato che uccise il figlio strangolandolo con delle fascette di plastica. Ora sta scontando i 30 anni di pena che le sono stati inflitti, ma non ha mai spiegato le ragioni di quel terribile delitto. Ora un altro mistero, un altro blackout, a Mascalucia, in provincia di Catania. Ma le indagini sono appena cominciate e non si possono escludere colpi di scena, come il coinvolgimento di un complice da parte di Martina Patti, ipotesi non esclusa dagli inquirenti, la cui inchiesta è fondamentale per fare chiarezza sull’omicidio della piccola Elena Del Pozzo.