E’ un periodo prolifico per la famiglia Chieffo. Prima lo straordinario Charity Tribute che ha visto radunati alcuni dei massimi artisti italiani a incidere canzoni dello scomparso cantautore, il giusto riconoscimento a uno dei più grandi della musica italiana. Adesso il figlio maggiore di Claudio, Martino, con il suo primo album, Parole leggere.



Essere figli d’arte è un peso che ha schiantato molti, quasi tutti. Aspettative, pregiudizi hanno reso corta la vita artistica di molti di coloro che hanno avuto un padre artista. Peggio nel mondo usa e getta della musica. Si finisce per diventare “un volantino scaduto” come dice Martino Chieffo. Sebbene l’eco delle canzoni del padre si avverta quasi ovunque, è un eco lontano, trasceso, catartico, discreto. Per arrivare a tanto Martino ha dovuto fare un lungo percorso: “È stata una fase complicata e dolorosa. Qualche velo è dovuto cadere, qualche osso si è rotto. Inevitabile. Ma è stata anche una fase di grande gioia, riflessione e incontro. Così che il presente è diventato una scoperta. E nel presente ho trovato anche parole mie, leggere, per raccontare le mie storie” dice lui stesso.



Il risultato è una manciata di canzoni intime, riflessive, appena sfiorate, dove l’intreccio di chitarre acustiche ed elettriche, percussioni soft, una elettronica in punta di dita disegnano acquarelli preziosi. Merito di questi colori autunnali è del produttore e polistrumentista Don Antonio (Grammentieri), maestro di musiche cinematografiche che sa mettere il giusto strumento, la nota giusta al posto giusto, senza mai strafare.

Sono brani dall’incedere narrativo e dagli spunti melodici sussurrati, ma non c’è malinconia o tristezza. Quello che pervade le canzoni è una sorta di serena accettazione. Lo si nota soprattutto nella bella title track, fatta da un riuscito impasto di chitarre, tastiere, sonorità che ricordano il maestro canadese Daniel Lanois. “Non ho un posto che sia solo mio dove ci sia un altro Dio, qualcuno a mio fianco poi non c’era nessuno” dice senza nascondersi dietro facili alibi Martino. Sono domande le sue che appartengono a tutti: “Ma dove sei quando sono triste, abbracciami almeno tu”.



C’è una intimità dell’animo in brani come L’attimo prima, melodicamente avvolgente, e si capisce che si possono fare canzoni anche senza gridare, solo lasciandosi cullare dalle emozioni musicali. Lo stesso accade con Prendo in prestito ma è così in tutto il disco.

E se anche Martino dice che “un giorno ho capito che la sua (di Claudio, nda) fede non era la mia, non con quelle modalità” non può fare a meno di includere a fine disco una ripresa della sua Il viaggio. A chiudere un cerchio: “Oggi quando canto le mie canzoni mi sento bene. Né uno scappato di casa né un figliol prodigo che torna nel gregge. Mi sento Martino, Martino Chieffo”. Buon viaggio, allora.