C’è un primo rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Marzia Capezzuti e riguarderebbe il minorenne coinvolto nell’inchiesta insieme ai genitori, Barbara Vacchiano e Damiano Noschese, attualmente reclusi perché accusati di aver avuto un ruolo nel delitto della 29enne. Lo riporta Salerno Today, secondo cui il gip avrebbe deciso di mandare il giovane a processo a seguito dell’articolata indagine sulla morte della giovane scomparsa nel 2022 a Pontecagnano Faiano (Salerno) e ritrovata cadavere dopo molti mesi in un casolare abbandonato alle porte di Montecorvino Pugliano.



Lo stesso minore era finito al centro dell’attenzione investigativa per i contenuti di una videochiamata con la sorella Anna (la stessa che poi avrebbe trovato il coraggio di denunciare i familiari dando impulso alla svolta nel caso Capezzuti) in cui avrebbe sostanzialmente confessato l’uccisione e avrebe mimato l’azione omicidiaria sostenendo che la 29enne sarebbe stata “strozzata“. Un’intera famiglia è sotto accusa e il primo step giudiziario vedrebbe proprio il ragazzo, autore delle prime rivelazioni sulle sorti di Marzia Capezzuti, a giudizio immediato davanti al Tribunale per i Minorenni di Salerno.



Marzia Capezzuti, l’omicidio della 29enne a Pontecagnano Faiano

Il caso di Marzia Capezzuti è piombato sulle cronache con un bagaglio pesantissimo di dettagli capaci di ricalcare una storia di violenze e cattiveria senza troppi precedenti. Un’intera famiglia, quella della cognata della vittima, Barbara Vacchiano, sarebbe finita sotto la lente investigativa per un tessuto di presunti maltrattamenti e torture lungo mesi che, secondo l’accusa, sarebbe sfociato nell’omicidio della 29enne. Un delitto in cui, stando alla ricostruzione a carico della donna e del compagno, Damiano Noschese, gli adulti avrebbero coinvolto il figlio minorenne recentemente rinviato a giudizio.



Il quadro di aggressioni che Marzia Capezzuti avrebbe subito tra le mura della loro casa è apparso fin da subito agghiacciante. Testimoni parlano di denti tirati con una pinza“, di continue percosse e bruciature sul corpo, di abusi sessuali, insulti e minacce, di una vita “in gabbia” chiusa tra le mura di uno sgabuzzino da cui le sarebbe stato impedito di uscire persino per i propri bisogni fisiologici. Marzia Capezzuti costretta a indossare un “pannolone”, secondo chi avrebbe incrociato la sua storia di giovane donna picchiata e prigioniera senza però riuscire a salvarla da quell’inferno, addirittura incapace di stare in piedi a causa delle terribili lesioni che i presunti aguzzini le avrebbero provocato nel tempo. Saranno i giudici a valutare eventuali responsabilità in merito ai maltrattamenti e al delitto. Quello che appare nitido è un impianto di accuse come macigni: omicidio aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà, dal fine di conseguire l’impunità per i maltrattamenti precedentemente commessi e dai motivi abbietti e occultamento di cadavere.