Dopo le riaperture, lo “smascheramento”, che Salvini e il centrodestra – sulla scia di quel che sta accadendo in mezza Europa – chiedevano da una dozzina di giorni e contro i quali era partito un fuoco di sbarramento concentrato sull’accusa che quel “giù la maschera” dovesse significare solo e nient’altro che un nuovo aumento dei decessi. Invece dal 28 giugno, in zona bianca – e con meno di 50 casi positivi ogni 100mila abitanti tutta l’Italia ormai sta perdendo via via i brutti colori della pandemia – non sarà più obbligatorio indossare le mascherine all’aperto. Basterà portarle con sé, pronti a coprire naso e bocca in caso di assembramenti, nei luoghi al chiuso o sui mezzi pubblici.
Nuova tappa verso la normalità
Tappa dopo tappa, Mario Draghi continua a pedalare sulla strada che porta il paese verso il traguardo della normalità. E lo fa da vero capitano: se vede che il gruppo rallenta l’andatura (riaperture sì, riaperture no?) o sbanda (caos seconda dose AstraZeneca), il premier, fedele al suo iconico slogan del “whatever it takes”, non esita a portarsi in testa e a tirare il plotone. Senza strappi, senza tentennamenti. Una spinta incoraggiante, tanto che anche dall’ammiraglia del Quirinale arrivano messaggi positivi: durante la cerimonia di inaugurazione del nuovo campus di architettura del Politecnico di Milano il presidente Sergio Mattarella ha parlato di “una proiezione verso il futuro, in sintonia con il momento che il Paese attraversa, un momento di nuovo inizio, non di ritorno alle condizioni precedenti alla pandemia, ma di un inizio su condizioni diverse, nuove e più adeguate alla realtà che ci si presenta e ci si presenterà in futuro”.
Mario Draghi capitano, per dare l’esempio, ma anche allenatore, per imporre la sua filosofia di gioco, un po’ come il ct Mancini in questi Europei di calcio. All’inizio Mario Draghi ha cambiato i “piloti” della macchina anti-Covid – Commissario straordinario per l’emergenza e capo della Protezione civile – per farla uscire dai garage delle Primule in cui sembrava averla rinchiusa Arcuri e lanciarla alla massima velocità sul circuito delle vaccinazioni. Poi ha ridisegnato la squadra del Comitato tecnico scientifico, iniettando quelle competenze che facevano difetto alla task force precedente. Infine ha lavorato sugli schemi e sul modulo: al Cts chiede risposte precise. Sono bastate due ore ai consulenti scientifici guidati da Silvio Brusaferro per chiudere la stagione, lunga otto mesi e mezzo, dell’obbligo delle mascherine all’aperto, inaugurata l’8 ottobre 2020 dal governo Conte 2, quando i contagi Covid si moltiplicavano al ritmo di 3mila e passa al giorno.
Draghi – sempre per stare alla metafora ciclistica – indossa la maglia rosa (per autorevolezza, competenza, stile di governo) da quando è entrato a Palazzo Chigi ed è seriamente intenzionato a non farsela scucire fino all’ultimo Gran Premio della Montagna, là dove lo striscione finale coincide con l’immunità di gregge, la sottomissione del Covid, la gestione efficiente dei fondi europei legati al Next Generation Eu. Finora lungo il percorso ha dovuto affrontare qualche cronometro molto impegnativa: una corsa contro il tempo per mettere in moto la campagna vaccinale, che oggi viaggia sull’onda di oltre 500mila iniezioni quotidiane (come promesso dal generale Figliuolo), una corsa contro il tempo per riscrivere il Pnrr, ieri promosso a pieni voti dalla Ue… Ma da qui in avanti iniziano i “tapponi” dolomitici. Fuor di metafora, che decisioni bisognerà assumere ora? Quali sono i problemi aperti, i nodi da sciogliere? Come si prepara la “campagna d’autunno” contro il virus e le sue varianti?
Tre mosse per dare scacco al Covid
In questo momento, sulla scacchiera, il Covid sembrerebbe sulla difensiva, si arrocca sotto l’attacco dei vaccini, ma può ancora giocare la mossa del cavallo: la variante Delta, contagiosissima e subdola, perché si presenta con gli stessi sintomi del raffreddore. Bisogna essere allertati, ma non terrorizzati, muoversi con prudenza, ma senza inseguire il virus: abbiamo rosicchiato un piccolo vantaggio che va sfruttato. Le nostre armi? Vaccinazioni, tracciamento e sequenziamento.
Il superamento dell’obbligo di mascherina all’aperto non implica che l’emergenza sia finita e che ci si possa lasciare andare a comportamenti imprudenti, come già sottolineato dallo stesso premier nella conferenza stampa che anticipava le riaperture. Le precauzioni servono ancora, ma ancor di più toccherà proprio al governo la capacità di dosare l’ampiezza delle riaperture con la velocità e la diffusione delle vaccinazioni. Nel tenere bassa la circolazione del Covid – e in tal senso garantirla tutta l’estate sarà decisiva – si gioca un passaggio cruciale, perché in campo, rispetto al 2020, è sceso un avversario ben più agguerrito del primo Sars-Cov-2, quello originario di Wuhan: la variante Delta, o variante indiana, ha una contagiosità più alta del 60% rispetto alla variante alfa (inglese), a sua volta caratterizzata da una trasmissibilità più alta del 50%.
Il focolaio scoperto tra Piacenza e Cremona dimostra che il virus è pronto a infilarsi là dove trova anche la più piccola crepa nel muro delle vaccinazioni: “Tra i 25 casi positivi alla variante Delta riscontrati nessuno era vaccinato” ha dichiarato il direttore del dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Piacenza, Marco Delledonne. E secondo gli ultimi studi, in tre casi su quattro una sola dose di vaccino potrebbe non proteggere dalla Delta, come stiamo vedendo in Gran Bretagna (dove è diventata prevalente, rappresentando ormai quasi il 90% dei nuovi casi) e in Israele (la variante indiana è la causa del 70% delle nuove infezioni). Ma i vaccini funzionano, le varianti non se li mangiano come pedine.
Ecco allora la prima sfida per il governo e per il Commissario Figliuolo: accelerare sulle vaccinazioni piene, cioè anche con il richiamo della seconda dose, possibilmente entro l’autunno, quando il Covid proverà a rialzare la testa. “Se arriveremo con l’80% delle persone vaccinate e le scuole con buona parte delle persone vaccinate – ha ricordato l’infettivologo Matteo Bassetti – è probabile che il Covid trovi un ostacolo alla sua circolazione così come la variante Delta. Se, invece, dovesse trovare grosse comunità non vaccinate, lì potrebbero essere dolori”.
E se è vero che “ogni paziente infettato – come ha scritto il virologo Roberto Burioni – è un tiro di dadi che può servire al virus per vincere, e che potrebbe farci perdere”, è altrettanto vero che con meno di 50 casi positivi ogni 100mila abitanti è il momento di riprendere saldamente le redini del tracciamento, che ci siamo lasciati scappare già troppe volte.
Il governo non deve cadere, proprio adesso, nell’errore di allentare la rete del tracciamento, eseguendo meno tamponi (-31% nelle ultime 5 settimane), lasciando i laboratori senza scorte e tagliando i fondi, ne va della tempestività nell’ottenere e tracciare le varianti.
E qui s’annida la terza tagliola da evitare. Il Covid non può mutare all’infinito, ma può produrre varianti sempre più pericolose, perché sempre più contagiose. Tocca al governo far sì che non accada a nostra insaputa, perché in Italia il sequenziamento è molto basso. La fondazione Gimbe denuncia che solo il 2% dei tamponi positivi effettuati viene sequenziato e il confronto internazionale non lascia scampo: secondo la banca dati Gisaid, la Gran Bretagna sequenzia il 30% dei tamponi, il Portogallo e gli Stati Uniti il 5%, la stessa Germania sta investendo con forza in questa attività, alla luce anche del fatto che i costi sono oggi più competitivi.
Lo scorso 27 gennaio è stato costituito un Consorzio, promosso e sostenuto dal ministero della Salute e coordinato dall’Iss, proprio con il compito di studiare la genetica del virus, individuare le varianti e prepararsi a future pandemie. A cinque mesi dalla sua nascita l’Italia offre un livello di sequenziamento inferiore rispetto all’obiettivo minimo fissato dall’Ecdc. Il problema è la scarsità di risorse? Ecco, dopo aver “smascherato” gli italiani, ora Draghi “smascheri” questa pecca. E vi ponga rimedio al più presto.
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