Su ACS è comparso uno studio sulle mascherine, e sull’eventuale possibilità di riutilizzarle nel corso della pandemia da Coronavirus. L’assunto parte dalla modalità con la quale il Covid-19 entra nel nostro corpo che, si dice, non è ancora chiara ma riguarda comunque – e lo avevamo già detto in passato – soprattutto aerosol e goccioline che invadono il nostro sistema respiratorio. Tra queste aerosol, alcune particelle sono fini e altre grosse; queste ultime si dissolvono nell’aria in circa un’ora ma le altre tecnicamente potrebbero rimanerci all’infinito, di conseguenza sono più pericolose. La produzione di queste particelle varia a seconda che si parli, tossisca o canti; nello specifico lo scorso 10 marzo, durante le prove di un coro nello stato di Washington, nonostante le persone non si siano toccate o abbiano condiviso gli spartiti ce ne sono state 45 (su 60) che sono risultate positive al Coronavirus, e due di loro sono morte.



Ora, il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie negli Stati Uniti (CDC secondo l’acronimo in lingua originale) raccomanda l’utilizzo delle mascherine N95, o FFP2 come le conosciamo in Europa (la sigla sta per filtering facepiece respirators, ovvero respiratore con filtro facciale) soprattutto da parte degli operatori sanitari; il 95% sta per la percentuale di efficienza di filtrazione raccomandata dallo stesso CDC, rispetto allo 0,3 del diametro medio della massa aerodinamica. Queste mascherine sono composte da molteplici strati di polipropilene non tessuti; quello che è importante dire è che uno studio recente ha stimato in 72 ore il tempo necessario perché la concentrazione di SARS-CoV-1 e SARS-CoV-2 sia ridotto, sulle superfici di plastica, di 3 ordini di magnitudo; dunque si pensa che sulle superfici FFR la tempistica sia simile il che, partendo dal fatto che in breve tempo le mascherine sono diventate difficilmente reperibili, porta a concludere come sia importante sviluppare procedure per il frequente e sicuro riutilizzo delle FFP2, senza che ne venga ridotta l’efficienza di filtrazione.



MASCHERINE FFP2: I METODI PER DISINFETTARLE

Il CDC raccomanda in particolar modo molti tipi di disinfezione o sterilizzazione, tramite trattamenti chimici, radiativi o della temperatura. Su virus e batteri questi metodi includono alcool e calore per la denaturazione delle proteine, raggi UV per la rottura di DNA/RNA, altri metodi per la rottura delle cellule. Nessuno di questi è stato valutato in profondità con il Coronavirus, ma lo studio ha comunque testato alcuni metodi che possano essere facilmente implementati negli ospedali e accessibili ai privati cittadini, mantenendo un rendimento relativamente elevato perché le mascherine si possano riutilizzare. Di che metodi si tratta? Tra le forme di disinfezione di cui parla il CDC, lo studio ne ha selezionate in particolare cinque abbastanza “comuni”: il calore sotto varie umidità, il vapore, alcol al 75%, una soluzione fatta in casa a base di cloro diluito e, infine, l’irradiazione germicida ultravioletta.

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