Le carte di un’inchiesta su questioni migratorie in cui era coinvolto Giorgio Gori, indagato e poi archiviato, offrono inaspettati spunti sulla gestione della pandemia Covid da parte del governo Conte. La Verità aveva svelato alcuni retroscena riguardo le mancate zone rosse nella Val Seriana, riportando i dettagli di un’informativa dei carabinieri che non solo smentisce l’ex premier e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, ma rivela pressioni nel Pd e il “blocco” da parte dell’allora governo. Ora emergono lo sfogo del fratello del sindaco di Bergamo, l’inettivologo Andrea Gori, per la mancanza di mascherine, respiratori e posti letto, e le accuse dell’Iss (Istituto superiore di sanità) alla Lombardia, perché effettuava troppi tamponi. Il giorno successivo alla scoperta del paziente 1 a Codogno, Andrea Gori contattò il fratello per riferirgli «che non ci sono mezzi di protezione sufficienti in quanto le produzioni venivano indirizzate in Cina per l’emergenza». Era febbraio, ma già a gennaio 2020 gli esperti e il governo erano consapevoli della scarsità di dispositivi di protezione: lo confermano i verbali della task force istituita presso il ministero della Salute.
Nonostante l’allarme, rilanciato ad esempio pure dal dirigente del dicastero Giuseppe Ruocco, partirono su un volo umanitario organizzato dalla Farnesina, dalla base di pronto intervento Onu di Brindisi, 18 tonnellate di materiale sanitario verso la Cina. Alla task force Speranza precisò di essersi accordato con «Palazzo Chigi», quindi con Giuseppe Conte. Stando a quanto ricostruito dalla Verità, nei giorni successivi l’infettivologo del Policlinico di Milano contattò nuovamente Giorgio Gori per raccontargli della «mancanza di dispositivi di protezione da parte dei medici del Policlinico di Milano che causa il diffondersi del contagio tra i sanitari». Si scoprì poi che gli ospedali stava collassando. Il sindaco di Bergamo assicurò il suo aiuto al fratello e discusse con Massimo Giupponi, direttore dell’Ats, della possibilità che le cliniche private fornissero posti letto agli ospedali pubblici per i pazienti colpiti da Covid.
DALLA MANCANZA DI MASCHERINE AI TROPPI TAMPONI: COSA RIVELANO LE INTERCETTAZIONI
Era ormai il 5 marzo quando Andrea Gori faceva sapere al fratello Giorgio che ormai in reparto si prendevano «decisioni in base alla fascia di età dei malati che giungevano presso i nosocomi in virtù di un’accertata carenza di respiratori», «con la conseguenza che le persone più anziane sono destinate a morire». Pochi giorni dopo l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio annunciò che la Cina avrebbe fornito mille ventilatori polmonari. Furono acquistati alcuni dei prodotti mandati loro. Riguardo i tamponi, dalle carte visionato dalla Verità emerge che la «divergenza tra i dati forniti pubblicamente rispetto ai dati reali dei contagi e dei decessi». Il sindaco di Bergamo, infatti, al collega di Brescia, Emilio Del Bono, spiegò «i dati […] erano falsati poiché le persone che decedevano presso le proprie abitazioni e quelle nelle case di cura non venivano sottoposte al test e quindi non rientravano nelle statistiche dei contagi da Covid-19».
Il problema risiedeva nei criteri di esecuzione dei tamponi. Infatti, in una conversazione col governatore della Lombardia, Attilio Fontana, Gori chiese se fossero state emesse linee guida. La posizione della Regione «era quella di eseguire i tamponi anche a coloro che avevano avuto stretti contatti con i malati da Covid-19». Dopo qualche giorno, però, le cose cambiarono. «Dopo circa una settimana e a seguito di contestazioni da parte dell’Istituto superiore di sanità, questa procedura veniva interrotta e il test veniva eseguito esclusivamente alle persone sintomatiche». Nelle carte bergamasche, dove ci sono le intercettazioni di Gori, si fanno i nomi di Silvio Brusaferro, capo dell’Iss, e Franco Locatelli, a capo del Consiglio superiore di sanità. La Verità si chiede ora se quella parsimonia iniziale nell’esecuzione dei tamponi dipendesse dalla scarsità di reagenti e laboratori in cui processare i campioni.