36 ore di inferno, una scia di indicibili abusi e sevizie che hanno segnato un’intera epoca portando l’opinione pubblica ad un crudo faccia a faccia con il male assoluto nel cuore della Roma bene. È la storia del massacro del Circeo, vittime due giovani di 19 e 17 anni, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, di cui solo una riuscì a sopravvivere, vicenda oggi al centro della fiction trasmessa da Rai 1. La prima fu assassinata al culmine delle violenze iniziate la notte tra il 29 e il 30 settembre nella villa di proprietà della famiglia di uno dei tre assassini, la seconda riuscì a salvarsi perché si finse morta.



Condannati per quel crimine senza precedenti i “pariolini” Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, all’epoca 20enni vicini ad ambienti neofascisti e tutti provenienti da famiglie agiate della borghesia della Capitale. Il primo all’ergastolo, beneficiario della semilibertà nel 2004 e tornato ad uccidere nel 2005 con il duplice omicidio di Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14), moglie e figlia del pentito della Sacra Corona Unita Giovanni Maiorano che Izzo aveva conosciuto in carcere. Nel 2007, Izzo incassò un altro ergastolo per quei delitti. Gianni Guido fu condannato a 30 anni di reclusione e nel 2009 fu scarcerato grazie all’indulto. Andrea Ghira è il “fantasma” del massacro del Circeo: unico mai catturato, avrebbe vissuto in latitanza all’estero e gli esami del Dna su un corpo riesumato nel 2006 a Melilla, enclave spagnola in Marocco, avrebbero confermato la sua identità celata sotto le mentite spoglie di Maximo Testa de Andres.



Il massacro del Circeo: la ricostruzione del delitto, l’omicidio di Rosaria Lopez e il coraggio di Donatella Colasanti

Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira sono i tre assassini del Circeo. Tre pariolini che uccisero senza pietà la 19enne Rosaria Lopez, vittima di torture e stupri per una notte e un giorno insieme all’amica Donatella Colasanti, che riuscì a salvarsi soltanto perché si finse morta. I massacratori del Circeo avrebbero tentato di ammazzare quest’ultima in tutti i modi, e infine si sarebbero convinti di avercela fatta e si sarebbero decisi a disfarsi dei corpi. Caricate le ragazze, credute entrambe ormai prive di vita, nel bagagliaio dell’auto di uno dei tre, Izzo, Guido e Ghira si diressero in viale Pola a Roma per parcheggiare e andare a cena prima di occuparsi dell’occultamento dei corpi. Ma il coraggio di Donatella Colasanti avrebbe scritto un finale diverso al loro piano agghiacciante: la 17enne, chiusa nel portabagagli con accanto il cadavere dell’amica, iniziò a fare rumore per attirare l’attenzione di qualcuno. Fu un metronotte ad accorgersi di lei e a lanciare l’allarme: aperto il vano, la scoperta dell’orrore e l’inizio del racconto di quell’incubo da parte dell’unica sopravvissuta, testimone chiave nel processo a carico degli assassini. 

Rosaria Lopez era morta. Secondo quanto ricostruito, le due ragazze furono violentate, seviziate, picchiate con ferocia, legate e chiuse in uno dei bagni di Villa Moresca a San Felice Circeo, teatro del massacro, dove avrebbero cercato di fuggire rompendo un lavandino. Quel disperato tentativo di scappare fu scoperto dagli aguzzini e per questo le avrebbero separate e le avrebbero drogate per farle perdere i sensi, ma senza esito: “Io e Rosaria – avrebbe poi raccontato Donatella Colasanti – eravamo più sveglie di prima e allora passarono ad altri sistemi”. Durante le torture, Gianni Guido ebbe persino il coraggio di assentarsi per cenare a Roma con i suoi parenti e tornare in serata al Circeo a concludere il massacro. Rosaria Lopez fu trascinata al piano superiore e, secondo la testimonianza dell’amica sopravvissuta, avrebbe pianto e urlato prima di un silenzio di morte: “Devono averla uccisa in quel momento“. La 19enne sarebbe stata annegata nella vasca da bagno. La furia degli assassini si concentrò poi su Donatella Colasanti, una cintura stretta al collo, trascinata sul pavimento nel tentativo di strangolarla: “Questa non vuole morire”, avrebbe detto uno dei tre. Fu allora che la 17enne avrebbe capito di potersi salvare soltanto in un modo: fingendosi morta. Nonostante i ripetuti colpi dei killer, addirittura con una spranga alla testa, Donatella Colasanti non reagì e riuscì a mettere in scena il suo decesso.