L’autorizzazione concessa a Massimo Bossetti sulla mera ricognizione dei reperti dell’omicidio di Yara Gambirasio, quindi al solo “vedere ma non toccare” né esaminare – come invece chiede da anni -, ha fatto storcere il naso a molti e ha spinto alcuni a gridare al “contentino” e ad un finale sottinteso: demolire la battaglia del muratore di Mapello con un nulla di fatto e neutralizzare definitivamente la sua richiesta di analizzare il Dna (prova regina che lo ha inchiodato all’ergastolo). In tanti si sono chiesti quale sia l’utilità dell’attività della semplice visione alla quale oggi i difensori saranno ammessi in tribunale, e a chiarirne i contorni è uno dei suoi avvocati, Claudio Salvagni.
Il legale ha sottolineato che è comunque un passo importante nel tortuoso percorso difensivo seguito fin dal processo su Yara Gambirasio, poi concluso in Cassazione con il fine pena mai a carico del suo assistito, nonostante non si possa procedere con l’esame. Secondo la sua prospettiva, vedere quei reperti significa capire anzitutto come sono stati conservati: il nodo della condizione degli stessi, a partire da quello della catena di custodia “saltata” sui 54 campioni di materiale tra cui la traccia di “Ignoto 1”, è oggetto di aspre critiche da parte del pool di Massimo Bossetti che, stando a quanto riporta Adnkronos, prenderà parte all’osservazione in videocollegamento dal carcere di Bollate dove è detenuto. Insieme a Salvagni e al collega Paolo Camporini, per la difesa saranno presenti i consulenti Marzio Capra e Dalila Ranalletta.
La visione di indumenti di Yara Gambirasio e campioni di Dna a porte chiuse
La visione dei reperti del delitto della 13enne di Brembate, uccisa e ritrovata in un campo di Chignolo d’Isola nel 2011, si terrà nel corso di una udienza a porte chiuse, nel pomeriggio di oggi, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Bergamo. Al centro dell’aspro scontro tra accusa e difesa, i 54 campioni di Dna contenuti nelle provette che, dal San Raffaele di Milano dove erano state conservate correttamente, furono trasferite all’Ufficio corpi di reato in condizioni fuori protocollo. Tenute a temperatura ambiente in quest’ultimo sito, sarebbero state compromesse in modo irreversibile pregiudicando l’eventuale possibilità di essere analizzate.
Un punto sul quale i legali di Massimo Bossetti continuano a battere e che, a loro avviso, cela responsabilità gravissime. L’accesso ai reperti fu concesso ormai 5 anni fa, e si arriva alla giornata di oggi dopo un lunghissimo rimpallo di competenze. I difensori non intendono comunque fermarsi qui: “L’autorizzazione del 27 novembre 2019 – ha dichiarato Salvagni all’Adnkronos – ci consentiva di analizzarli. È evidente che non possiamo accontentarci – ha aggiunto l’avvocato -, ma è un primo passo avanti visto che durante il processo non li abbiamo neppure visti“. Occhi puntati, quindi, in via preliminare sullo stato di conservazione in vista di una prossima istanza per esaminarli.