Massimo Bossetti è all’ergastolo in via definitiva dal 2018 per l’omicidio di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate scomparsa nel novembre 2010 e trovata senza vita in un campo di Chignolo d’Isola 3 mesi più tardi, nel febbraio 2011. Un delitto per cui la giustizia italiana, dopo una caccia all’uomo (Ignoto 1) senza precedenti andata avanti per 3 anni, avrebbe individuato il profilo di Massimo Bossetti – muratore di Mapello incensurato, sposato e padre di 3 figli – quale assassino della piccola. A inchiodarlo, secondo gli inquirenti, una traccia di Dna in particolare, la 31G20, isolata sugli slip della minore. Al netto della battaglia tra accusa e difesa su questo reperto biologico – gli avvocati di Massimo Bossetti vi avrebbero individuato oltre 200 anomalie chiedendo una perizia in contraddittorio, sempre negata -, altri “indizi” di colpevolezza a carico dell’uomo sono stati prodotti a processo e i legali di Massimo Bossetti continuano a sostenerne l’insufficienza per arrivare a una condanna oltre ogni ragionevole dubbio.
A Le Iene, il giornalista Antonino Monteleone è tornato sul caso parlando proprio di questi indizi che, oltre il Dna ritenuto “prova regina” dall’accusa, avrebbero contribuito a formare il giudizio che ha visto finire in carcere Massimo Bossetti con una sentenza schiacciante: fine pena mai. Si tratta delle famose microsfere di metallo e dei fili tessili individuati sugli indumenti della vittima e che, per la Procura di Bergamo, avrebbero costituito prova inequivocabile del “contatto” tra Massimo Bossetti e Yara Gambirasio, per l’accusa condotta in prossimità di quel campo a bordo del furgone dell’uomo. Le microsfere sarebbero residuo di attività di edilizia (il settore in cui operava Bossetti) e le fibre tessili trovate sul corpo della piccola proverebbero che è stata sui sedili del suo mezzo. Ma secondo i consulenti del detenuto (che ora puntano alla richiesta di revisione del processo), gli elementi non sarebbero così nitidi e granitici.
Massimo Bossetti: la difesa contro gli indizi a carico (oltre il Dna)
Massimo Bossetti spera ancora di vedere la sua posizione rivalutata in sede di revisione del processo che si è chiuso con la sentenza definitiva all’ergastolo emessa a suo carico nel 2018. Secondo la difesa, come sottolineato dal suo avvocato Claudio Salvagni, insisterebbero elementi capaci di provare la sua innocenza nonostante l’esito del giudizio che lo ha inchiodato al profilo dell’assassino di Yara Gambirasio. I consulenti del muratore di Mapello si sono sempre opposti non solo alla ricostruzione dell’accusa sul Dna di Ignoto 1 a lui attribuito, ma anche agli altri indizi che ne avrebbero provato la colpevolezza nelle indagini sull’omicidio della 13enne.
A Le Iene, dopo aver affrontato il tema del video del furgone “creato per esigenze di comunicazione” unendo diverse sequenze che dimostrebbero i vari passaggi di Bossetti intorno alla palestra frequentata dalla vittima proprio nel giorno della scomparsa, il 26 novembre 2010, la difesa ha puntato l’occhio su quelle altre “prove” a carico del muratore di Mapello che tali, secondo i suoi consulenti, non sarebbero. Per l’accusa, Yara Gambirasio sarebbe salita a bordo del furgone di Bossetti quel giorno e a dimostrarlo sarebbero almeno due elementi: le fibre di tessuto trovate sui pantaloni della 13enne e ritenute appartenenti ai sedili del mezzo, e le “sferette di metallo” che proverebbero il contatto tra la vittima e qualcuno che si occupa di edilizia.
Massimo Bossetti, i consulenti della difesa su microsfere e fibre: “Non abbiamo mai visto i reperti”
“Yara non è salita su quel furgone“. Lo dichiara a Le Iene Vittorio Cianci, ingegnere meccanico e consulente della difesa di Massimo Bossetti, esperto in analisi di fibre tessili, in merito alla presunta compatibilità – individuata dall’accusa – tra i fili trovati sui pantaloni della vittima e quelli che compongono il rivestimento dei sedili montati sul mezzo del muratore. Cianci sostiene che vi sia anzitutto un errore nelle modalità di repertazione delle fibre: “Loro hanno estratto queste fibre usando uno scotch, non è una procedura corretta perché, una volta che si imprigionano le fibre, restano avvolte dentro la colla e non si possono fare sezioni e analisi particolari“. “Essendo fibre sintetiche – ha aggiunto l’ingegnere -, possono avere sezione tonda, trilobata, pentalobata… Dovrebbero avere stessa sezione. Mentre per l’autocarro l’hanno fatta ed è rotonda, per i pantaloni di Yara era impossibile farla”.
Claudio Salvagni ha sottolineato inoltre che i difensori di Massimo Bossetti non hanno mai avuto accesso non solo alla “prova regina” del Dna, ma a tutti gli altri reperti del delitto (ora oggetto di una battaglia sulla conservazione): “Non so se esistono i leggings, non li ho mai visti fisicamente. L’esame dello spessore delle fibre è fondamentale per capire se siamo in presenza di due cose compatibili. Questo esame non è stato fatto“. Secondo il consulente Cianci, inoltre, l’accusa avrebbe stabilito che le fibre avessero lo stesso colore ma si tratterebbe di un errore: “Assolutamente non è vero, i colori erano differenti“. Un altro elemento ritenuto di “sicura valenza indiziaria” dall’accusa sono le microsfere metalliche isolate sulle scarpe e su parte dei vestiti di Yara Gambirasio. Sferette che sono state trovate anche sul furgone di Massimo Bossetti, ma che secondo Vittorio Cianci potrebbero essere di un materiale diverso: “Nel furgone abbiamo solo ferro e acciaio comune, sugli indumenti di Yara – ha dichiarato il consulente della difesa a Le Iene – parliamo del 60% di acciaio speciale. Mi spiegate questa differenza? Sono completamente diverse, come si fa a spiegarlo?“.