9 anni dopo l’arresto per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, Massimo Bossetti insiste sulla necessità di analizzare i reperti del delitto – esami mai concessi alla difesa nei tre gradi di giudizio – per dimostrare quello che ha sempre dichiarato: “Sono innocente“. “Se non hanno niente da temere, permettano ai miei consulenti di fare accertamenti sul Dna“, ha sottolineato nuovamente l’ex muratore di Mapello dal carcere, attraverso le righe di una lettera inviata poche ore fa alla trasmissione Iceberg di Marco Oliva. La Cassazione ha recentemente detto sì alla ricognizione dei reperti, ma non è ancora una svolta: “Guardare, ma non toccare“, dicono i giudici ribadendo il contenuto del provvedimento con cui, nel 2019, il presidente dell’Assise Giovanni Petillo autorizzò gli avvocati di Massimo Bossetti a visionare i reperti e i campioni biologici poi, di fatto, finora mai visionati dal pool che assiste il detenuto. Oggi Bossetti spera ancora di poter finalmente accedere agli elementi che furono tra i cardini dell’accusa a suo carico, nell’ottica di poterli analizzare con nuove tecnologie. La ricognizione è possibile perché il provvedimento di Petillo non fu mai impugnato e quindi, ha sottolineato la Cassazione, è “vigente e intangibile”.
“Eventuali attività ulteriori – ha precisato la Corte Suprema – potranno essere, se del caso, assentite all’esito della ricognizione e sulla base del verbale che la documenterà, ove la difesa, dando impulso ad un procedimento esecutivo distinto da quello odierno, avanzi specifica e corrispondente richiesta“. In poche parole, una eventuale analisi dei reperti potrà essere valutata dai giudici soltanto dopo la ricognizione e previa istanza dei legali di Bossetti. Tale scenario presuppone che l’Assise sia chiamata a decidere “dopo aver valutato, alla luce della consistenza dei reperti, la concreta possibilità di nuovi accertamenti tecnici, e dopo aver valutato la loro non manifesta inutilità, secondo canoni di concretezza, specificità e astratta vantaggiosità“. Nel frattempo, come rivelato in esclusiva da Iceberg, i carabinieri incaricati dai pm di Venezia di verificare lo stato dei luoghi in cui sono conservati i 54 campioni di Dna scovati poco tempo fa dal giornalista Giangavino Sulas nel laboratorio del San Raffaele di Milano – dove erano custoditi a temperatura utile alla preservazione delle tracce – avrebbero certificato, nell’ambito dell‘inchiesta sulla condotta del pm di Bergamo Letizia Ruggeri che li avrebbe fatti spostare in assenza di provvedimento di confisca e che risulta indagata per l’ipotesi di depistaggio, che sono tenuti in un posto privo delle misure necessarie alla corretta conservazione: l’Ufficio corpi di reato di Bergamo, che non ha alcun frigorifero. Ancora in poche parole: quei reperti, ritenuti preziosissimi dalla difesa perché potenzialmente suscettibili di nuove analisi per dimostrare la posizione del suo assistito, sono tenuti a temperatura ambiente e c’è un’altissima probabilità che siano distrutti. Inutilizzabili. Sul punto, Massimo Bossetti sente la sua situazione simile a quella di Rosa e Olindo: anche loro, i coniugi condannati all’ergastolo per la strage di Erba, si sono visti distruggere i reperti del massacro che furono mandati all’inceneritore, con iter ancora oggi rimasto nebuloso, proprio il giorno in cui la Cassazione aveva deciso che finalmente la difesa avrebbe potuto analizzarli a proprie spese.
Massimo Bossetti dal carcere: “Io come Rosa e Olindo, ingiustamente imprigionati”
Massimo Bossetti, nel corso della lettera inviata al programma Iceberg, ha dichiarato di percepire una forte analogia tra la sua situazione e quella dei coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, la coppia condannata in via definitiva per la strage di Erba. “Due persone che, per come attraverso i media si rappresentano, a mio giudizio mai e poi mai mi fanno pensare che sono gli autori di quella atroce mattanza. Un altro caso simile al mio riguardo alla custodia dei reperti. Purtroppo, quando si finisce in questo vortice aggressivo giudiziario, spetta a te, con tutte le tue forze, attraverso le giuste cause, poterti difendere. L’augurio che anche a loro posso dare è quello di riuscire nel disfare il nodo della matassa, che ancora oggi a distanza di anni li tengono ingiustamente imprigionati“.
Bossetti, che continua a negare di essere l’assassino di Yara Gambirasio, spera che il via libera alla ricognizione dei reperti sia anticamera di un concreto ribaltamento della sua posizione. L’avvocato che lo difende, Claudio Salvagni, ha parlato di “un primo punto di partenza” nel percorso che il pool intende seguire per ottenere nuove analisi su quella che fu considerata la prova regina a suo carico: il Dna. “Finalmente mi viene concessa la possibilità di fare la ricognizione dei reperti – ha scritto Massimo Bossetti dal carcere –. Un raggio di sole è riuscito a penetrare nell’oscurità di questo grande buio. (…) Non mi faccio abbattere dall’ingiustizia, tengo viva la speranza di credere che la giustizia ancora esiste. Quello che più oggi spero, che quei campioni di Dna non siano così davvero mal custoditi come si è sentito dire, ma che possano essere ancora utili attraverso indagini difensive con appositi macchinari più sofisticati rispetto al passato, dato che la scienza si è molto evoluta“. In realtà, quei campioni, ha rivelato Iceberg, come certificato dai carabinieri nel corso dell’inchiesta di Venezia sul presunto depistaggio, sono chiusi in una scatola a temperatura ambiente come qualunque altro corpo di reato senza le misure necessarie a garantirne la corretta conservazione. “Nel mio caso – ha proseguito Bossetti nella missiva – trovo che sia tutto altamente vergognoso ed irrispettoso che a distanza di 9 anni dal mio disumano arresto ad oggi ancora rimango allo scuro sull’esistenza di questi reperti, sul loro stato di conservazione e di come attualmente si presentano. (…) La mia speranza dopo la decisione della Cassazione è quella di vedere affrettare i tempi alle indagini, sperando che non diventino biblici come da sempre lo sono, auspicando che non sia il solito rimpallo di decisioni. Penso e credo che sia doveroso garantire anche alla difesa un riscontro oggettivo sulla verità dei fatti senza lasciare nulla di intentato e di incompleto. È un sacrosanto diritto della difesa che spetta a qualunque essere umano per consentire di potersi difendere“.