Massimo Bossetti, all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio, affida a una lettera dal carcere il suo durissimo sfogo sulla distruzione dei reperti e, in particolare, sulla degradazione del Dna che si sarebbe prodotta a seguito dello spostamento dei campioni dal San Raffaele di Milano (in cui erano custoditi, fino al 2019, a temperatura di 80 gradi sottozero come da protocollo) all’Ufficio Corpi di reato di Bergamo (sprovvisto di attrezzature utili alla corretta conservazione). Un trasferimento che sarebbe stato disposto dal pm Letizia Ruggeri, titolare dell’inchiesta sul delitto della 13enne, in assenza del necessario provvedimento del giudice che è l’unico in grado di autorizzarne la destinazione (confisca o distruzione).



Per questo, il gip di Venezia avrebbe ordinato l’iscrizione del pubblico ministero nel registro degli indagati con le ipotesi di frode in processo penale e depistaggio, anche a garanzia dello stesso che così potrà difendersi e nominare propri consulenti sulla questione. L’interruzione della “catena del freddo” avrebbe determinato l’inutilizzabilità del materiale genetico ancora esistente (ben 54 campioni) per future analisi sul Dna, esami insistentemente richiesti dalla difesa di Massimo Bossetti e mai concessi nei gradi di giudizio che lo inchiodarono al profilo dell’assassino di Yara Gambirasio. “Vergognoso“, tuona l’ex muratore di Mapello nella missiva indirizzata al conduttore Marco Oliva, della trasmissione Iceberg su Telelombardia, insinuando che forse qualcuno aveva “qualcosa da temere” al punto da non concedere alla difesa l’accesso ai reperti e infine distruggerli dopo averne sostenuto l’esaurimento.



La lettera di Massimo Bossetti sulla distruzione dei campioni di Dna

Nella sua lunga lettera dal carcere, dove è detenuto in via definitiva dal 2018, Massimo Bossetti ha ribadito le sue perplessità sulla mancata analisi dei reperti dell’omicidio di Yara Gambirasio da parte della difesa. Ai suoi consulenti è stato sempre negato un esame del Dna in contraddittorio e l’ex muratore di Mapello non ha mai smesso di dichiararsi innocente, nonostante i tre gradi di giudizio a suo carico si siano conclusi con la sua condanna all’ergastolo in quanto ritenuto l’assassino della 13enne. “Chi è quel pazzo – scrive Bossetti alla redazione di Iceberg – che chiede insistentemente di poter ripetere l’esame del Dna se fosse coinvolto in un omicidio dove le proprie responsabilità gli si schiaccerebbero addosso come pietre tombali? (…) Rispondendomi solo che il materiale in questione era stato tutto consumato nel corso delle varie consulenze e ritenuto pacificamente inesistente…“.



Quel Dna invece esiste, contenuto in ben 54 provette che, secondo il professor Casari che lo conservò fino al 2019 nel laboratorio dell’ospedale San Raffaele di Milano, si sarebbe potuto nuovamente sottoporre ad analisi data la sua ingente quantità. “Mi chiedo – prosegue Massimo Bossetti – perché doverlo asportare da dove era ben custodito in appositi congelatori?“. Intervenuto sul punto via social, l’avvocato difensore Claudio Salvagni aveva già sottolineato che “la distruzione dei reperti è un illecito penale” e che il gip di Venezia l’avrebbe sostanzialmente confermata: “Il gip dà atto che i reperti sono distrutti e che tale distruzione (non autorizzata da un giudice) è un reato. Diversamente, avrebbe archiviato, semplicemente perché il fatto non costituisce reato, senza mandare gli atti al pm per la prosecuzione delle indagini“.

Massimo Bossetti, l’avvocato Salvagni parla del nodo conservazione Dna

Intervenuto ai microfoni di Iceberg, poche ore fa, l’avvocato di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni, ha parlato di quello che sarebbe accaduto in merito ai reperti: “Il processo si è concluso con sentenze che dicono che quel Dna lì non esiste più per cui non si possono fare nuovi esami. Questo Dna poi è saltato fuori e quello che dicono le sentenze sono cose inesatte. Il Dna non può essere distrutto senza un provvedimento del giudice. Era sotto sequestro, non era di proprietà dello Stato. Deve essere autorizzata prima la confisca o la restituzione e poi eventualmente la distruzione. Questo applicando il nostro codice attuale, se a Bergamo se ne applica un altro io non lo so”. Nella lettera inviata a Marco Oliva, Bossetti ha insistito sui suoi dubbi riguardo alla sorte dei campioni che sarebbero stati spostati senza giustificazione da Milano a Bergamo, per essere posizionati nell’Ufficio Corpi di reato del tribunale interrompendone la corretta conservazione (il materiale sarebbe passato da 80 gradi sottozero a temperatura ambiente, con conseguente verosimile distruzione).

È dal giorno del mio arresto – si legge nella missiva del detenuto –, vergognoso e disumano, che chiesi con insistenza di poter ripetere questo esame di un dato risultato essere monco e non certo sulla mia appartenenza. Lo chiesi durante tutte le fasi processuali, fino alla sentenza, ma mai e poi mai che venissi preso una sola volta in considerazione e concesso nel farlo (…). Ora urlo, perché dovermi negare un’evidenza quando tutti ne erano ben consapevoli sull’esistenza di questo Dna, dove pure gli stessi consulenti dell’accusa affermano che esiste in abbondanza per essere ripetuto, essendo stato mantenuto protetto e garantito al San Raffaele? (…) Mi chiedo perché doverlo asportare da dove era ben custodito, in appositi congelatori (…) se proprio non si avesse avuto nulla da temere? Nessuno avrebbe dovuto provocare la distruzione dei campioni in sequestro senza un provvedimento del giudice che lo attesti, tutto questo assurdo atteggiamento – conclude Bossetti – lo trovo inappropriato, inopportuno e imperdonabile (…) Bastava davvero poco per verificare e accertare l’assoluta vera giustizia al di là di ogni ragionevole dubbio“.