Massimo Galli, il direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’ospedale ‘Sacco’ di Milano è tra gli ospiti di “Domenica In” di Mara Venier. Il professore è tornato a parlare del Coronavirus e delle novità. “La possibilità di un ritorno c’è, state preparati” dice il prof Galli che precisa “questo per quanto si trasmessa come un’influenza, non è una influenza. Il virus dell’influenza ha dei suoi comportamenti e caratteristiche verificate, ci torna a fare visita dopo aver fatto il giro del mondo”. Il  direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’ospedale ‘Sacco’ di Milano parla anche della riapertura delle Regioni dal 3 giugno: “credo di essere stato tra gli ultimi ad essere rassegnato a questa idea di far riaprire le Regioni”. A sorpresa poi si ritrova a parlare della moglie dopo una domanda dalla Venier: “ha rispettato la quarantena, aspettava il sabato per andare a fare la spesa e andavamo insieme, per il resto non c’ero quasi mai impegnato per il lavoro. L’assenza di socialità pesa a tutti”. Infine però non mancano i rimpianti, tra cui Gallo sottolinea: “quello che mi sta di non essere riusciti come paese e sistema sanitario di aver dato una risposta in tempi ragionevoli alla decina, migliaia di persone che volevano conoscere il proprio status nei confronto del virus perchè adesso con l’uscita di casa è importante saperlo”. (aggiornamento di Emanuele Ambrosio)



Massimo Galli: “Coronavirus? A metà giugno sapremo di che morte dobbiamo morire”

C’è anche il prof. Massimo Galli, tra gli ospiti della nuova puntata di Domenica in in onda oggi su Rai1 a partire dalle 14. Galli, direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’ospedale ‘Sacco’ di Milano, interverrà in diretta per un aggiornamento sulla diffusione del Coronavirus in Italia. A detta del medico, in questa fase 2 si è entrati “a gamba tesa”, forse addirittura da incoscienti. “Tuttavia”, precisa, “sembra che la faccenda si sia messa a posto in termini di gestione e che al momento non ci siano segnali importanti di problemi seri”. Ne parla nello specifico in un’intervista all’Unione Sarda: ciò che si poteva fare e non è stato fatto è “essere più proattivi”, specie nelle Regioni più colpite. “Si potevano cercare le persone lasciate in casa con l’infezione in atto e dar loro supporto, cosa che è stata fatta troppo poco. In tanti nel periodo di lockdown si sono chiusi in casa con pochi sintomi della malattia, queste persone andavano cercate, avvicinate e testate”.

Massimo Galli: “Gli effetti delle seconde aperture da metà giugno”

Il governo ha deciso di affidarsi alla responsabilità degli italiani, e Massimo Galli lascia intendere di non essere del tutto favorevole a questa linea permissiva (che, ricordiamo, mantiene comunque i limiti delle mascherine e del distanziamento). Gli effetti negativi delle prime aperture non si vedono, ma potrebbero presto palesarsi quelli delle seconde, lui dice per metà giugno: “Allora sapremo di che morte dobbiamo morire o, mi auguro, di che vita potremo vivere”. Intanto, per il 3 del prossimo mese, è attesa la riapertura alla mobilità tra Regioni: “Senza considerare gli aspetti economici, se avessi dovuto dire cosa fare semplicemente considerando gli aspetti del mio mestiere, avrei detto di aspettare fino a metà giugno. E, per riaprire le attività commerciali, almeno fino alla fine di questo mese, usando un criterio di precauzione che avrebbe soffocato l’economia”.

Massimo Galli parla del caso Lombardia

D’altro canto, Massimo Galli ammette che “abbiamo bisogno di riprenderci e di convivere con una cosa come questa”. “Quindi”, invita ancora l’infettivologo, “si mantengano al massimo possibile le cautele, basate ora su mascherine, distanziamento e responsabilità individuale”. Infine una nota su cosa, secondo lui, non ha funzionato in Lombardia: “Qui c’è stata un’epidemia enorme, maggiore rispetto alle altre e non paragonabile ad esempio con quella veneta. Quando abbiamo preso coscienza dell’entità del problema eravamo già in un disastro totale. Tra Veneto e Lombardia c’è una sfasatura di due settimane o più che ha fatto la differenza. In Veneto sono stati molto bravi a mettere in atto una serie di provvedimenti che in Lombardia non era possibile mettere in atto perché il territorio è stato travolto da una enorme quantità di casi gravi”.