A cuore aperto e meno ‘abbottonato’ rispetto a come siamo abituati a vederlo nei talk show televisivi che da un anno e mezzo oramai ospitano lui e i suoi colleghi: è un Massimo Galli inedito e per certi versi anche più netto nei giudizi quello che emerge da una recente intervista concessa dall’infettivologo dell’Ospedale “Sacco” di Milano, tra pareri sui no-vax, l’evoluzione della pandemia ma pure lo scenario politico italiano e anche il suo privato con alcuni ricordi della sua infanzia scolastica e famigliare. L’attacco dell’intervista è fulminante e, ricordando il lungo impegno dello stesso Galli nella lotta all’Aids, alla domanda se sia peggio il Covid-19 oppure il virus dell’HIV il diretto interessato risponde: “Si dice la Covid, o il Coronavirus: l’Aids è stata una cosa tremenda, tuttora non risolta, che ha caratterizzato una gran parte della mia vita professionale e mi ha messo nella condizione di fronteggiare problemi di persone che sono andati avanti per anni” spiega, raccontando il dramma dei primi anni a fronteggiare quella malattia e l’impotenza dei medici.
E a proposito delle storie dei pazienti sieropositivi, Galli spiega che alcuni “erano legittimamente furibondi. Non accettavano il loro fato. Altri erano arresi, perché il virus li aveva colpiti profondamente”, aggiungendo di non aver dimenticato nessuna delle loro storie, anche se fanno eccezione tre tra cui quella di un suo collega infettatosi a seguito di un rapporto con una ragazza con cui aveva un legame stabile. Per Galli l’esperienza dell’Aids negli Anni Ottanta fu “dal punto di vista professionale estremamente coinvolgente, mi mise in contatto con mondi a me in larga misura sconosciuti: la chiamavano la peste dei gay, dei tossicodipendenti, o anche, con una definizione altrettanto orrenda, la malattia delle devianze” dice a proposito dei luoghi comuni poi sfatati nel corso del tempo. “Invece era una malattia virale, come l’epatite B. Fu subito chiaro a chiunque capisse un minimo di epidemiologia, poi ci accorgemmo che era un retrovirus”.
GALLI, “I NO VAX SONO NEGATORI DI PROFESSIONE: E LA POLITICA STRIZZA LORO L’OCCHIO…”
E la tentazione di giudicare mai un paziente Galli l’ha avuta? “Guardi, no. La mia esperienza nel campo delle malattie infettive, e dell’epatite in particolare, mi aveva portato a una scelta di campo. In reparto, su 90 letti che avevamo, 85 in genere erano occupati da tossicodipendenti in crisi di astinenza. Non me la sentivo proprio di giudicare” ammette l’infettivologo che tuttavia non vuole fare parallelismi coi No Vax: “È una cosa completamente diversa, abbia pazienza. Quelli erano gli anni Settanta e Ottanta e noi curavamo tossicodipendenti duri. I No Vax però somigliano a una categoria di persone che c’era già allora e forse c’è sempre stata e ci sarà sempre: i negatori”. E oggi è la destra a cavalcare l’onda negazionista? “Ma quella è arrivata dopo. Io parlo dei cultori delle terapie alternative, degli oppositori della medicina ufficiale, dei demonizzatori delle case farmaceutiche” aggiunge, alludendo al fatto che oggi la politica fa l’occhiolino a certi movimenti. E forse anche la paura di molte persone è “figlia di una comunicazione che è stata una schifezza”, compresa quella di certi suoi colleghi.
E le divisioni tra esperti di virologia e infettivologia con a sinistra i presunti ‘rigorosi’ e a destra quelli che il giornalista definisce i ‘tolleranti speranzosi’? “Una semplificazione giornalistica voluta dalla destra che è andata a cercare i riduzionisti. Un’operazione bieca. Non dico che nella comunità scientifica ci sia una unanimità bulgara, ma su numeri e dati la stragrande maggioranza di noi ha la stessa identica posizione”. Invece sul tema del green pass, Galli ribadisce ancora una volta che non esiste alcuna dittatura sanitaria (“Uno slogan buono per chi strizza l’occhio ai No Vax”) mentre sulle idee politiche il diretto interessato spiega di non essere stato sempre di sinistra e ben lontano dalle derive violente di tanti suoi coetanei negli Anni Settanta. Infine, nel gioco delle domande Galli preferisce Draghi a Conte (“Comunque una persona perbene”), evita di rispondere su Letta e Bersani e lancia una stoccatina al centro-sinistra quando non sceglie alcuna opzione tra Renzi e Bonaccini. La chiusa è dedicata al tempo che passa, alla pensione e al pensiero della morte: “L’ho incontrata molte volte e ho dovuto anche scherzarci su. Spesso i medici lo fanno, diversamente diventa difficile portare avanti la propria professione e la propria esistenza”, mentre sulla pensione ammette che è “giusto così. Lascio spazio ai giovani e darò una mano a chi me lo chiede”.