Nel salotto di Francesca Fagnani di Belve, in onda su Rai 2, è stato intervistato Massimo Giletti, il noto conduttore che venne cacciato dalla Rai. “Sono un lupo solitario”, racconta con una nota d’amarezza nella voce, “credo che su di me ci sia un’esasperazione, perché se non appartieni ad un sistema, e se sei libero, non sei mai amato. Da un certo tipo di persone, almeno, ma dal pubblico si, sempre. Io vivo per il pubblico, del resto non mi importa di niente”.



Parlando dei suoi pregi e difetti, Massimo Giletti confessa di essere molto felice della sua onestà intellettuale, ma parla anche di una certa permalosità. Interpellato sulla sua vena iraconda, risponde che “io sbrocco perché sono uno reattivo, vero, e a volte fa parte del mio essere. Io sono anti-finzione, a volte sbrocco, potrei farne a meno, ma fossero lì tutti i miei difetti”. Però sembra titubante sul confessare, veramente, quali siano i suoi difetti. Saltando avanti, per rispondere al fatto che abbia più amici o nemici tra i colleghi, risponde che “non ho mai frequentati i colleghi, ho sempre vissuto in un mondo abbastanza isolato. Di alcuni ho molta stima e non potrò mai dimenticare quello che ha fatto Fiorello per me in un momento difficilissimo, una cosa che io e lui sappiamo”.



Massimo Giletti e i colleghi de La 7

Andando nel vivo dell’intervista, Massimo Giletti è andato anche ad analizzare il suo rapporto con i colleghi Formigli, Floris e Gruber, che rifiutarono di esporsi durante la sua inchiesta sulla scarcerazione dei boss mafiosi. Inchiesta che gli fece affidare una scorta, che ancora oggi lo segue ogni giorno, “viaggio su un’auto blindata”, racconta amareggiato. “Non dimenticherò mai che la prima telefonata fu di Maurizio Costanzo“, racconta.

“In un momento in cui ti senti solo”, racconta ancora Massimo Giletti, “sentire qualcuno che fa il tuo lavoro e lo condivide sarebbe stato importante. Non è il messaggino la questione, ma se quella battaglia contro i boss scarcerati l’avessimo fatta in tanti, io oggi probabilmente non sarei sotto scorta. Lo sono perché sono rimasto solo”. Interpellato sul perché non sia stato appoggiato, sostiene che “dovremmo chiedere a loro perché l’hanno fatto. Tra l’altro se uno non sente di fare una cosa, che non la faccia, ma poi non può pensare che chi l’ha subita, a distanza di tempo, non la tiri fuori in certe situazioni. L’isolamento è la mia forza”, conclude Massimo Giletti, “essere soli alla fine è anche meglio, anche se in certe circostanze è pesante”.