Dopo un capolavoro assoluto come All’Italia, non era facile ripetersi agli stessi livelli. Massimo Priviero ci è riuscito, grazie anche ad alcuni dei suoi testi più profondi, toccanti, ricchi di empatia da lui mai scritti. Chiunque lo conosca sa che la scrittura per lui, artista colto e raffinato, è sempre stata una delle caratteristiche distintive. Lo abbiamo visto anche nella recente, emozionante e affascinante, biografia in chiave romanzata Amore e rabbia, una prova superata con grande bravura, spesso invece trappola per chi vi si cimenta.
Il nuovo disco aumenta il passo introspettivo, con una serie di calde ballate introspettive lasciando solo in un paio di episodi l’esplosiva carica rock che ha sempre contraddistinto Massimo Priviero sin da inizio carriera.
Insieme al disco di Davide Van De Sfroos uscito quasi in contemporanea, ci troviamo a celebrare il ritorno dei grandi cantautori, purtroppo anche gli ultimi, perché come dice lo stesso Priviero in Redenzione “sono qui a dirti la fine di un mondo che abbiamo visto noi”. Un lavoro che rispecchia l’età adulta del nostro, capace di guardare in faccia la realtà con disincanto, denunciando con orgoglio un mondo imbruttito, non rinunciando al suo consueto messaggio di speranza e di amore per la vita, ma qualcosa sembra diventato un peso tropo grande da portare. Musicalmente, un lavoro giocato su splendide corde di acciaio di tante chitarre acustiche, mandolino, slide, ma anche il tocco pieno di Hammond, strumenti folk come bouzouki e charango. Tanti i musicisti coinvolti, dagli abituali Alex Cambise al maestro Giorgio Cordini per citarne solo due.
Il disco si apre con Redenzione, con una chitarra acustica che ha l’incedere di A hard rain’s a-gonna fall di Bob Dylan, un invito a prendere in mano la propria vita, a “non mollare mai”, il messaggio che Priverò ha fatto suo da sempre e che non si stanca mai di ripetere: “Sono qui a dirti non temere mai”. Ma c’è anche l’amarezza della consapevolezza di un mondo che ormai si avvia alla sua stessa distruzione. Splendido l’arrangiamento e i suoni in crescendo con apertura corale di grande effetto.
Imbattuto è anch’essa una chiara denuncia con accenni a Joe Strummer (“il futuro non è mai scritto”): “L’idea di vittoria e sconfitta non è legata alla quantità di successo che un uomo ha, anche se questi tempi idioti ciò viene promulgato come condizione necessaria per una vita felice” dice lo stesso autore. Ballata lenta e accorata, di grande impatto anch’essa. Con la capacità che lo contraddistingue, in Rinascita, Priverò sa raccontare il mondo che abbiamo attorno, la sofferenza intima e personale che si preferisce nascondere. E’ la storia in prima persona di uno dei tanti che colpiti dalla crisi economica generata dalla pandemia, perso il lavoro, è stato attaccato dalla depressione, la maledetta malattia del nostro tempo che nel giro di pochi anni è destinata a diventare la malattia più diffusa al mondo. Priviero sa ferirti, farti piangere con una capacità di compassione unica: “Devi scostare le tende per fare in modo che la luce entri. Anche se credi che non abbia interesse per te. Devi costringerti a considerare che tu non sia solo. Che nessuno si salva, da solo”. Splendido il violino di Michele Gazich che accompagna con struggente malinconia il pezzo.
Un arrangiamento folk capeggiato dal mandolino del sempre eccellente Giorgio Cordini (PFM, De André fra i tanti) conduce Tutto è possibile, un altro inno alla vita e alle possibilità che essa offre.
Bella vita è l’unico momento potentemente rock del disco, con tutta l’energia e la passione che Priviero sa infondere, mentre Abbi forza è un blues con slide e chitarre acustiche in primo piano, dove ancora una volta la denuncia di un mondo che esclude i cosiddetti “deboli” e “perdenti” è tagliente: “Serve forza. Ogni giorno che viene e ogni giorno che va”.
Il disco si avvia alla conclusione con la maestosa Un solo popolo, aperta da accordi orientaleggianti. Priviero a sorpresa apre con la recitazione del Discorso della Montagna di Gesù, le parole più belle e toccanti mai dette sull’umanità: “La vita mi ha fatto un grande dono. Il dono di avere una fede. Fragile. Incostante. Il senso del testo di questa canzone, e pure il grande sogno da inseguire, resta quello di un’unica grande anima del mondo” dice Massimo.
Il finale è ancora introspettivo e delicato con la bella ballata folk Paradiso, un messaggio di decisa speranza, un addio ma anche la promessa di rivedersi, in un mondo migliore, in un mondo che non è questo, ma è trascendenza, un evidente messaggio da parte di un padre (quello di Massimo), un uomo la cui “libertà è stata il coraggio”. Un uomo, come dice il cantautore, che ha “desiderato che amassi la mia vita” e perciò lo ha lasciato libero di andare per la sua strada. Bellissimo l’arrangiamento, un crescendo ricco di tensione avvalorato da archi.
Il disco contiene poi due bonus track, registrate prima che il progetto di questo album prendesse vita. Vivi ragazzo è uno dei suoi classici pezzi rock trascinanti e pieni di forza, fiducia e energia; Abbracciami invece una suadente ballata southern rock, ancora un messaggio di incoraggiamento per sé e per tutti.
Alla fine, come sempre, Massimo Priviero ci ha condotti per mano a riflettere sulle nostre esistenze, sul nostro dolore, sui nostri sogni che restano anche se acciaccati dal peso degli anni che passano e dalle ingiustizie e dalla prevaricazioni che diventano sempre più malvagie, ma non per questo la vita non vale la pena di essere vissuta. L’importante è restare fedeli al nostro cuore.